#: locale=en ## Tour ### Description ### Title tour.name = Galleria del Laocoonte e W. Apolloni ## Skin ### Button Button_1264C3CC_0FC1_DA4B_41A5_4F17057DFE99.label = SCEGLI UNA MOSTRA ### Multiline Text HTMLText_011EE13D_4D2C_44A6_41CF_5308CBAC4563.html =
Duilio Cambellotti (Roma 1876-1960)


Carine, 1927
Xilografia, cm 52,2 x 48,5







Per la scheda completa consultare il catalogo ‘900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
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Duilio Cambellotti (Roma 1876-1960)


Il Sublicio, 1910-1911
Matita, carboncino e tempera bianca su carta bruna,
cm 58 x 51
Archivio Cambellotti, n. 227


Bibliografia:
Duilio Cambellotti dal Palatino al Parnaso. Le Romanae Fabulae e l’Epos greco, catalogo della mostra, Lugano Galleria Sperone, a cura di F. Parisi, Roma 2013


Alla mostra dell’Agro Romano del 1911 Cambellotti espose una serie di tempere sui miti latini arcaici. In questo primo nucleo di opere, che lo tenne impegnato fino alla metà degli anni ’20, Cambellotti utilizzò una tecnica che consisteva in un fondo di terra di Siena ricoperta a biacca su una traccia di disegno che non restituiva alcun chiaroscuro, ma solo risolute apposizioni di bianchi e di neri. La scena è centrata sul quarto Re di Roma, Anco Marzio, intento a sistemare le travi di un piccolo ponte sul fiume. La religione romana arcaica prescriveva, infatti, che per il ponte Sublicio – unica via che collegava le due sponde del Tevere – non fosse utilizzato altro materiale che il legno. Cambellotti tornerà a metà degli anni ’20 a lavorare sullo stesso tema realizzando una seconda versione, sempre a tempera, incentrata sul ponte piuttosto che sulla figura del Re-Pontefice, ma per la successiva versione incisa in xilografia (1926), optò per la traduzione fedele della versione del 1911…


Per la scheda completa consultare il catalogo ‘900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
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Duilio Cambellotti (Roma 1876-1960)


Cocles, 1927
Xilografia, cm 53,1 x 50,1
Firmato in alto a sinistra «CD» e a penna, «Duilio Cambellotti» e SPIGA


Bibliografia:
Duilio Cambellotti. Catalogo delle incisioni, a cura di M. Quesada, Roma 1983, n. 39 e tav. 88, pp. 83 e 146; F. Parisi, M. Vittori;
Duilio Cambellotti xilografo e illustratore. Dalle Leggende Romane a La conquista della Terra, Latina 2007, n. 35, pp. 70 e 106.


Il ciclo delle Leggende Romane fu completato interamente, a seguito dell’approfondimento della tecnica d’intaglio e dalla metà degli anni ’20, in xilografia su legno di filo. Le Leggende sono dunque stazioni di un itinerario che si intreccia con la piena maturazione della tecnica xilografica. Nel trasporre graficamente l’eroico episodio Cambellotti si avvalse di un’altra fonte, la Storia romana di Charles Rollin tradotta in italiano nel 1831 e presente nella sua biblioteca con appunti e sottolineature: addetto alla difesa del ponte Sublicio, Orazio Coclite bloccò gli assalitori etruschi mentre i compagni alle spalle demolivano il ponte per impedire ai nemici di raggiungere la città. Emblema del guerriero arcaico in grado di resistere e sostenere da solo il peso dell’attacco, Cocles venne rappresentato da Cambellotti nell’atto di mettersi in salvo gettandosi nel Tevere...


Per la scheda completa consultare il catalogo ‘900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
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Duilio Cambellotti (Roma 1876-1960)


Acca Larentia I, 1940
Matita su carta lucida, cm 20 x 31
Archivio Cambellotti, n.1772


Bibliografia:
Duilio Cambellotti dal Palatino al Parnaso. Le Romanae Fabulae e l’Epos greco, catalogo della mostra di Lugano presso la GalleriaSperone Westwater, a cura di F. Parisi, Roma 2013.


Duilio Cambellotti per la realizzazione dei due disegni raffiguranti la leggenda di Acca Larentia si ispirò al dizionario di Daremberg e Saglio, custodito nella sua biblioteca personale. Il disegno più completo presenta qualche variante rispetto alla versione finale, specialmente per quanto riguarda la figura del lupo, che risulta più dinamica. Il secondo foglio rappresenta la prole che si allatta ai seni materni, riprendendo la figura della divinità romana Gea, che partorisce il genere umano. L’iconografia trae ispirazione dall’incisione del 1912 di Otto Greiner raffigurante Gea. La xilografia dell’opera venne ultimata da Cambellotti nel 1940...





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Duilio Cambellotti (Roma 1876-1960)


Acca Larentia II, 1940
Matita su carta lucida, cm 28 x 25
Archivio Cambellotti, n.1767


Bibliografia:
Duilio Cambellotti dal Palatino al Parnaso. Le Romanae Fabulae e l’Epos greco, catalogo della mostra di Lugano presso la GalleriaSperone Westwater, a cura di F. Parisi, Roma 2013.


Duilio Cambellotti per la realizzazione dei due disegni raffiguranti la leggenda di Acca Larentia si ispirò al dizionario di Daremberg e Saglio, custodito nella sua biblioteca personale. Il disegno più completo presenta qualche variante rispetto alla versione finale, specialmente per quanto riguarda la figura del lupo, che risulta più dinamica. Il secondo foglio rappresenta la prole che si allatta ai seni materni, riprendendo la figura della divinità romana Gea, che partorisce il genere umano. L’iconografia trae ispirazione dall’incisione del 1912 di Otto Greiner raffigurante Gea. La xilografia dell’opera venne ultimata da Cambellotti nel 1940...





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Arturo Martini


I ciclopi
Tecnica mista su carta, cm 37 x 24




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Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961)


Studio per il salone d'onore del Palazzo del "Popolo d'Italia" a Milano, 1939
Matita e tempera su un foglio, cm 27,5 x 21,2
Firmato in basso a destra: “SIRONI”
Iscr. in alto a destra: “Questi versi credono; amano; sperano. Che altro occorre? – Caro Maestro, soccorretemi: sollevatemi un poco: io sono giovane: datemi una mano di aiuto...” Studio di pareti.


Questo studio fa parte di un complesso lavoro di collaborazione intrapreso da Sironi con l’architetto milanese Giovanni Muzio e riferito al Palazzo del “Popolo d’Italia”, la nuova costruzione che a Milano doveva ospitare la sede del giornale del Partito Nazionale Fascista, fuori Porta Nuova, in Piazza Cavour (oggi noto come “Palazzo dei Giornali”). Il progetto vide una stretta collaborazione tra Sironi e Muzio, sia nella partizione architettonica dell’edificio, sia nella decorazione dello stesso, sia interna che esterna. Questo studio è riferibile al Salone d’Onore del Palazzo, in particolare alle due facciate monumentali del grandioso ambiente a volta ribassata, ed è databile al 1939…



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Adolfo de Carolis (Montefiore dell’Aso 1874 – Roma 1928)


Bozzetto per la vela Minerva, 1914
Olio su carta, cm 50 x 68,5, intitolato in basso a sinistra


L’opera è il bozzetto preparatorio per la vela dedicata al Regno naturale, una delle ventidue che concorrono alla decorazione del Salone del Palazzo del Podestà di Bologna. Palazzo del Podestà di Bologna, impresa ad affresco alla quale De Carolis attese per vent’anni. L’artista, per questo ciclo, realizzò decine e decine di schizzi al vero con i modelli, come testimoniato da una serie di lastre fotografiche provenienti dal suo archivio e recentemente ritrovate. Rapidamente abbozzata con pennellate monocrome la figura della Minerva accovacciata nell’atto di colpire una roccia con la lancia per far nascere un pianta di ulivo riempie pressoché completamente la struttura triangolare della composizione, completata dall’attributo dell’elmo, nell’angolo in basso a destra, e di un cavallo in quello opposto. L’intera progettazione della decorazione del Salone del Podestà è un chiaro omaggio alla poetica rinascimentale ed alla volta della Sistina in particolare ed è suddivisa in tre grandi aree tematiche di riferimento che ripercorrono la storia della città, dalle origini (cui afferisce la lunetta in esame, collocata frontalmente all’affresco dedicato agli Etruschi, unica scena nella quale, non a caso, l’elemento naturale ha un ruolo predominante), il periodo tardo antico e medievale ed il Rinascimento.



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Publio Morbiducci (Roma 1889 – 1963)


Il volo delle aquile – Remo, 1940
Bronzo, cm 28 x 22 x 10,5


Bibliografia:
Publio Morbiducci 1889-1963 Pitture Sculture Medaglie, catalogo mostra, Roma 1999, p. 141, fig. 41; pp. 118-119, 121, nn. 144-145


Esposizioni:
Publio Morbiducci, Nudi Maschili, a cura di Monica Cardarelli, Roma, Galleria del Laocoonte, 2019 – 2020


Ispirato alla leggenda della fondazione di Roma il piccolo gruppo scultoreo vede, infatti, i due protagonisti raffigurati nell’atto di scrutare il cielo alla ricerca del segnale divino che, come narrano le fonti, ne avrebbe determinato il ruolo di re. Secondo Ennio (Annales, 72-90) Romolo prese l’auspicium da un osservatorio posto sull’Aventino Grande, mentre Remo sull’Aventino Piccolo o Monte Marcus. Secondo Livio, invece, “Romolo scelse il Palatino e Remo l’Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo. Dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re l’uno e l’altro contemporaneamente” ...



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Achille Funi (Ferrara 1890 – Appiano Gentile 1972)


Scena dall'Eneide (Anna e Didone), 1930 ca.
Grafite, china e carboncino su carta, cm 156 x 156
Cartone preparatorio per gli affreschi (distrutti) della IV Triennale delle Arti Decorative e Industriali Moderne di Monza, Villa Reale, Monza, maggio-novembre 1930


Esposizioni:
Milano, Spazio Oberdan, Milano anni trenta. L’arte e la città (dicembre 2004 - febbraio 2005) n. 6


Bibliografia:
N. Colombo, Achille Funi. Catalogo ragionato dei cartoni, vol. I, Leonardo arte, Milano 1996, p. 78; Milano anni Trenta. L’arte e la città, a cura di E. Pontiggia, N. Colombo (catalogo della mostra, Milano, Spazio Oberdan 2004-2005), Mazzotta, Milano 2005, p. 4.


Nel 1930, data di esecuzione del cartone qui in esame, Achille Funi inaugurava la propria stagione di affrescatore in occasione della “IV Triennale delle Arti Decorative e Industriali”, manifestazione tenutasi alla Villa Reale di Monza. Il particolare delle due figure assise costituiva la porzione centrale dell’affresco che ornava la parete sinistra del vestibolo del secondo piano della sede espositiva monzese. Il cartone preparatorio oggetto del presente intervento trova ispirazione nel poema virgiliano, profondamente amato e studiato dall’artista. Il tema raffigura la scena iniziale del quarto libro, quando Didone, rapita dal carisma di Enea, eroe troiano, e dopo una notte di profonda meditazione, chiede consiglio alla sorella Anna che la esorta a seguire i propri sentimenti. In questa immagine Funi traduce in visioni monumentali un pathos raccolto e sereno. Didone, seduta in primo piano, volge lo sguardo verso Enea mentre Anna stringe nella mano un esile bastone che è insieme guida e protezione, ed orienta il volto verso la sorella, in atteggiamento di difesa. Durante la manifestazione monzese, la Giuria Internazionale assegnava all’artista il Gran Premio d’Arte per le pitture murali ispirate al capolavoro virgiliano…



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Publio Morbiducci (Roma 1889 – 1963)


Il volo delle aquile – Romolo, 1940
Bronzo, cm 24,5 x 23,5 x 10


Bibliografia:
Publio Morbiducci 1889-1963 Pitture Sculture Medaglie, catalogo mostra, Roma 1999, p. 141, fig. 41; pp. 118-119, 121, nn. 144-145;


Esposizioni:
Publio Morbiducci, Nudi Maschili, a cura di Monica Cardarelli, Roma, Galleria del Laocoonte, 2019 – 2020


Ispirato alla leggenda della fondazione di Roma il piccolo gruppo scultoreo vede, infatti, i due protagonisti raffigurati nell’atto di scrutare il cielo alla ricerca del segnale divino che, come narrano le fonti, ne avrebbe determinato il ruolo di re. Secondo Ennio (Annales, 72-90) Romolo prese l’auspicium da un osservatorio posto sull’Aventino Grande, mentre Remo sull’Aventino Piccolo o Monte Marcus. Secondo Livio, invece, “Romolo scelse il Palatino e Remo l’Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo. Dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re l’uno e l’altro contemporaneamente” ...



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Ferruccio Ferrazzi (Roma 1891 – 1978)


Il Tevere
China su carta da lucido, cm 34 x 23,
In basso a sinistra: «FERRAZZI»; in alto a destra «ROMULUS» e «REMUS»; in basso a destra: «TIBERIS»


Bibliografia:
P. Rizzo, Ferrazzi Pittore romano, in «Quadrivio», Roma 4 maggio 1941; A. Dodi (A. Munõz?), Ferruccio Ferrazzi parla del suo «Mito di Roma» e del «Premio Cremona», in «Il Regime fascista», Roma 14 giugno, p. 3; A. Munõz, Il mito di Roma – Mosaico di Ferruccio Ferrazzi nella Piazza Augusto Imperatore, «L’Urbe» maggio 1941, pp. 28-29; Un’opera musiva di Ferruccio Ferrazzi, in «Lo stile. Numero speciale dedicato al vetro», Milano maggio-giugno 1941, pp. 101-103; Ferrazzi a Ojetti, in «Meridiano di Roma», Roma 22 marzo 1942, p. 1; F. Ferraironi, Iscrizioni ornamentali di Roma, in Strenna dei Romanisti, 21 aprile 1953, pp. 228-229; A. Cambedda, M. G. Tolomeo, Una trasformazione urbana. Piazza Augusto Imperatore a Roma, Fratelli Palombi Editori, 1991, pp. 27-38; A. Cambedda, M. G. Tolomeo Speranza, L’apparato decorativo di Piazza Augusto Imperatore, in L. Cardilli (a cura di), Gli anni del Governatorato (1926-1944), Edizioni Kappa, 1995, pp. 157-160; Cartoni. Disegni smisurati del ’900 italiano, catalogo della mostra a cura di M.F. Apollloni e M.Cardarelli, Roma, De Luca Editore d’Arte, Roma 2017, pp. 36-41 (scheda sui cartoni di Ferrazzi a cura di F.R. Morelli).


Questo disegno di Ferruccio Ferrazzi, che raffigura la personificazione del Tevere e più in generale il mito della nascita di Roma, fa parte della messe di studi per il monumentale mosaico "Il mito di Roma" sul prospetto frontale del palazzo dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale a Piazza Augusto Imperatore a Roma. L’opera appartiene alla redazione finale del soggetto, riportando soltanto qualche lieve modifica. Nell’ideare l’episodio delle origini di Roma, Ferrazzi muta l’antica iconografia, trasformando il Tevere in un uomo giovane e vitale, che, ritto sulle gambe vigorose, reca in braccio Romolo e Remo. È possibile che Ferrazzi sia stato per certi aspetti ispirato da un pannello nella vicina Ara Pacis, allegoria di una mitica terra nell’Età dell’oro, dove una donna matronale, la Terra, tiene in braccio due bambini…



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Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961)


Natale di Roma, 1937
Matita litografica su carta, cm 37 x 24,5


Bibliografia:
F. Benzi, A. Sironi, Sironi illustratore, Roma, 1988, n. 1063


Esposizioni:
Mario Sironi, Disegni e Tempere, Roma, Galleria del Laocoonte, 2014, fig. 32


Si tratta della prima idea, poi notevolmente modificata, di un’illustrazione dal titolo "Costruire per l’Impero", effettivamente pubblicata il giorno del Natale di Roma sul “Popolo d’Italia”, quotidiano del Partito Nazionale Fascista, il 21 aprile 1937. In questi anni Sironi stabilisce le immagini più monumentali per la propaganda fascista, che verranno utilizzate e volgarizzate in numerose declinazioni popolari...



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Duilio Cambellotti (Roma 1876 – 1960)


Il gladiatore (Disegni per il manifesto del film Fabiola), 1948
Matita su carta lucida, cm 99,5 x 74


Bibliografia:
Io sono Cambellotti, catalogo della mostra, Roma, Galleria del Laocoonte, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma, 2017, pp. 110 - 111


Si tratta dei bozzetti per i manifesti del film Fabiola, diretto nel 1949 da Alessandro Blasetti e prodotto dalla Universal Film in co-produzione italo-francese. Protagonista del primo disegno è Rhual, il giovane gallo giunto a Roma come gladiatore che difenderà i cristiani quando saranno falsamente accusati dell’assassinio del senatore Fabio Severo. Raffigurato dall’artista proprio nell’atto di spezzare l’asta del tridente, con lo sguardo rivolto verso l’osservatore, il giovane gladiatore si erge a simbolo di non violenza. Nel secondo disegno Cambellotti pone il punto di vista del riguardante dietro le belve, nel momento che di poco precede la loro entrata nell’arena, dove i cristiani perseguitati rivolgono al cielo le loro ultime preghiere…



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Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961)


Soldati Combattenti, 1935
China acquarellata e matita su carta, cm 46 x 54
Firmato in basso a destra: “SIRONI”


L’opera appare come uno studio dall’antico, eseguito da Sironi partendo da un bassorilievo, di cui non è stata identificata la fonte. In questi anni, a metà del quarto decennio del Novecento, Sironi studia assiduamente elementi antichi (greci, romani, bizantini, medievali), cercando di ricucire un linguaggio nazionale senza interruzioni di stile. Curiosamente, questo aspetto di studio dall’antico si sviluppa con continuità esattamente in questo torno di anni, mentre non lo ritroviamo nel momento del primo “ritorno all’ordine” del Novecento Italiano nei primi anni Venti. Indice della libertà con cui Sironi attinge all’antico: non per trarne iconografie scontate, ma per esplorarne i significati culturali più stratificati…



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Giovanni Guerrini (Imola 1887 – Roma 1972)


La nascita di Roma (o Roma Dea dei Mari), 1938 ca.
Matita, china e biacca su cartoncino, cm 35 x 45
Esposizioni:
Milano 1999, Muri ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930 – 1950, Museo della Permanente, n. 66;
Roma 2005, E42-EUR Segno e Sogno del ‘900, Palazzo delle Fontane;
Roma 2009, Giovanni Guerrini, 1887 – 1972, Pittore, Architetto, Decoratore, Nuova Galleria Campo dei Fiori, n. 49.


Bibliografia:
Maurizio Calvesi, Enrico Guidoni, Simonetta Lux (a c.), E42 Utopia e scenario del Regime, II Urbanistica, architettura, arte e decorazione, Roma, Archivio Centrale dello Stato, Roma 1987 (Cataloghi Marsilio, Venezia), pp. 310-314; AA.VV., Muri ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930 – 1950, Milano 1999 (Mazzotta Editore, Milano), n. 66, pp. 185, 244; Carlo Bertilaccio, Francesco Innamorati, EUR S.p. A. e il Patrimonio di E42; manuale d’uso per edifici e opere, Palombi Editori, Roma 2004; Carlo Fabrizio Carli, Gianni Mercurio, Luigi Prisco, E42 – EUR Segno e sogno del ‘900, Roma 2005; Carlo Fabrizio Carli, Giovanni Guerrini, 1887 – 1972, Pittore, Architetto e Decoratore, pp. 81, (Nuova Galleria Campo dei Fiori), Roma 2009, p. 125, n. 49.


Dell’esecuzione dei mosaici per la fontana luminosa dell’EUR furono incaricati tre artisti (Giovanni Guerrini, Giulio Rosso, Gino Severini), esperti nella tecnica musiva. Antonella Greco ha studiato i documenti da cui sappiamo che Guerrini fu incaricato dei mosaici della fontana il 22 marzo 1939; il lavoro è completato ufficialmente con il collaudo del 25 aprile 1940. Guerrini affianca la trattazione di temi mitologici (La distruzione di Cartagine, Enea approda alle foci del Tevere, La nascita di Roma) ad altri allegorici (Il Tirreno, L’Adriatico, Il Mediterraneo), con una spigliatezza di linguaggio degna di nota rispetto al recepimento di un’attitudine classicistica abitudinaria, e forse portatrice di assonanze Déco: si veda la tendenza all’allungamento manieristico delle figure; ovvero l’assunzione di attitudini modernistiche, specie nella Nascita di Roma. All’inizio, il motivo principale avrebbe dovuto essere quello del fiume, il Tevere (era stata anche prevista una scultura monumentale distesa, sul tipo del Marforio capitolino o del Nilo vaticano, ipotesi presto lasciata cadere), per passare a privilegiare il tema marino, in consonanza con il tema caro a Mussolini dell’espansione di Roma verso il mare, ribadito perentoriamente nell’architrave principale dell’edificio. A suggerire i temi iconografici dovettero essere le classiche fonti dell’Eneide e di Livio…


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Giovanni Guerrini (Imola 1887 – Roma 1972)


L'Adriatico, 1938 ca.
Matita, china e biacca su cartoncino, cm 35 x 45
Esposizioni:
Milano 1999, Muri ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930 – 1950, Museo della Permanente, n. 66;
Roma 2005, E42-EUR Segno e Sogno del ‘900, Palazzo delle Fontane;
Roma 2009, Giovanni Guerrini, 1887 – 1972, Pittore, Architetto, Decoratore, Nuova Galleria Campo dei Fiori, n. 49.


Bibliografia:
Maurizio Calvesi, Enrico Guidoni, Simonetta Lux (a c.), E42 Utopia e scenario del Regime, II Urbanistica, architettura, arte e decorazione, Roma, Archivio Centrale dello Stato, Roma 1987 (Cataloghi Marsilio, Venezia), pp. 310-314; AA.VV., Muri ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930 – 1950, Milano 1999 (Mazzotta Editore, Milano), n. 66, pp. 185, 244; Carlo Bertilaccio, Francesco Innamorati, EUR S.p. A. e il Patrimonio di E42; manuale d’uso per edifici e opere, Palombi Editori, Roma 2004; Carlo Fabrizio Carli, Gianni Mercurio, Luigi Prisco, E42 – EUR Segno e sogno del ‘900, Roma 2005; Carlo Fabrizio Carli, Giovanni Guerrini, 1887 – 1972, Pittore, Architetto e Decoratore, pp. 81, (Nuova Galleria Campo dei Fiori), Roma 2009, p. 125, n. 49.


Dell’esecuzione dei mosaici per la fontana luminosa dell’EUR furono incaricati tre artisti (Giovanni Guerrini, Giulio Rosso, Gino Severini), esperti nella tecnica musiva. Antonella Greco ha studiato i documenti da cui sappiamo che Guerrini fu incaricato dei mosaici della fontana il 22 marzo 1939; il lavoro è completato ufficialmente con il collaudo del 25 aprile 1940. Guerrini affianca la trattazione di temi mitologici (La distruzione di Cartagine, Enea approda alle foci del Tevere, La nascita di Roma) ad altri allegorici (Il Tirreno, L’Adriatico, Il Mediterraneo), con una spigliatezza di linguaggio degna di nota rispetto al recepimento di un’attitudine classicistica abitudinaria, e forse portatrice di assonanze Déco: si veda la tendenza all’allungamento manieristico delle figure; ovvero l’assunzione di attitudini modernistiche, specie nella Nascita di Roma. All’inizio, il motivo principale avrebbe dovuto essere quello del fiume, il Tevere (era stata anche prevista una scultura monumentale distesa, sul tipo del Marforio capitolino o del Nilo vaticano, ipotesi presto lasciata cadere), per passare a privilegiare il tema marino, in consonanza con il tema caro a Mussolini dell’espansione di Roma verso il mare, ribadito perentoriamente nell’architrave principale dell’edificio. A suggerire i temi iconografici dovettero essere le classiche fonti dell’Eneide e di Livio…


Per la scheda completa consultare il catalogo '900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
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Duilio Cambellotti (Roma 1876 – 1960)


Le belve e i cristiani (Disegno per il manifesto del film Fabiola), 1948
Matita su carta lucida, cm 70 x 100,5


Bibliografia:
Io sono Cambellotti, catalogo della mostra, Roma, Galleria del Laocoonte, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma, 2017, pp. 110 - 111


Si tratta dei bozzetti per i manifesti del film Fabiola, diretto nel 1949 da Alessandro Blasetti e prodotto dalla Universal Film in co-produzione italo-francese. Protagonista del primo disegno è Rhual, il giovane gallo giunto a Roma come gladiatore che difenderà i cristiani quando saranno falsamente accusati dell’assassinio del senatore Fabio Severo. Raffigurato dall’artista proprio nell’atto di spezzare l’asta del tridente, con lo sguardo rivolto verso l’osservatore, il giovane gladiatore si erge a simbolo di non violenza. Nel secondo disegno Cambellotti pone il punto di vista del riguardante dietro le belve, nel momento che di poco precede la loro entrata nell’arena, dove i cristiani perseguitati rivolgono al cielo le loro ultime preghiere…



Per la scheda completa consultare il catalogo '900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
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Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961)


Studio per una copertina di Gerarchia, 1934
Inchiostro e matita su carta, cm 31 x 21,4


Esposizioni:
Mario Sironi, Sassari 2011, p. 64; Mario Sironi, Disegni e Tempere, Roma, Galleria del Laocoonte, 2014, fig. 27


Sironi illustrò la rivista “Gerarchia”, rivista politica del fascismo, fin dal primo numero del gennaio 1922, e continuò a fornirle la copertina (in genere una o due l’anno, che si ripetevano) fino al 1935, oltre che, tra 1934 e 1935, alcune illustrazioni interne. Questo disegno è lo studio preparatorio quasi definitivo per quella che eseguì per l’annata 1924 (dai nn. di gennaio a dicembre), sicché si deve considerare eseguito negli ultimi mesi del 1923...



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Publio Morbiducci (Roma 1889 – 1963)


Cavallo, 1941 ca.
Gesso, cm 44,5 x 49 x 14,5


Bibliografia:
Publio Morbiducci 1889-1963 Pitture Sculture Medaglie, catalogo mostra, Roma 1999, p. 141, fig. 41


Esposizioni:
Publio Morbiducci, Nudi Maschili, a cura di Monica Cardarelli, Roma, Galleria del Laocoonte, 2019 – 2020


I due gessi furono realizzati da Morbiducci nell’ambito della sua attività scultorea legata alla politica di interventi artistici per l’architettura, in particolare la decorazione dei palazzi dell’ente Eur. Morbiducci ricevette una richiesta per la realizzazione di una quadriga di cavalli che avrebbe dovuto ornare la mensola in aggetto realizzata al centro della facciata del Palazzo dei Congressi. Il perdurare, a causa degli eventi storici, del cantiere della struttura (la costruzione, terminata nelle sue parti fondamentali nel 1943, vide la sua completa conclusione solo nel 1952) fece sì che il gruppo scultoreo rimanesse ad uno stato di abbozzo senza essere mai realizzato; la quadriga successivamente eseguita da Francesco Messina non venne ugualmente mai messa in posa, e la facciata del Palazzo è rimasta sguarnita di qualsiasi decorazione plastica. Nella scelta di Morbiducci di raffigurare dei giovani puledri, dalla struttura agile e scattante, anziché cavalli adulti dalle forme più piene e massicce, è facile scorgere una diretta influenza di Duilio Cambellotti. Il gruppo in gesso è infatti accostabile a diverse opere eseguite, seppur in anni precedenti, da Cambellotti, in particolare alla Conca dei tre cavalli nella quale tre vannini sono raffigurati nell’atto di abbeverarsi, i tendini tesi, gli arti nervosamente in movimento.


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Giovanni Guerrini (Imola 1887 – Roma 1972)


Enea approda alle foci del Tevere, 1938 ca.
Matita, china e biacca su cartoncino, cm 35 x 45
Esposizioni:
Milano 1999, Muri ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930 – 1950, Museo della Permanente, n. 66;
Roma 2005, E42-EUR Segno e Sogno del ‘900, Palazzo delle Fontane;
Roma 2009, Giovanni Guerrini, 1887 – 1972, Pittore, Architetto, Decoratore, Nuova Galleria Campo dei Fiori, n. 49.


Bibliografia:
Maurizio Calvesi, Enrico Guidoni, Simonetta Lux (a c.), E42 Utopia e scenario del Regime, II Urbanistica, architettura, arte e decorazione, Roma, Archivio Centrale dello Stato, Roma 1987 (Cataloghi Marsilio, Venezia), pp. 310-314; AA.VV., Muri ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930 – 1950, Milano 1999 (Mazzotta Editore, Milano), n. 66, pp. 185, 244; Carlo Bertilaccio, Francesco Innamorati, EUR S.p. A. e il Patrimonio di E42; manuale d’uso per edifici e opere, Palombi Editori, Roma 2004; Carlo Fabrizio Carli, Gianni Mercurio, Luigi Prisco, E42 – EUR Segno e sogno del ‘900, Roma 2005; Carlo Fabrizio Carli, Giovanni Guerrini, 1887 – 1972, Pittore, Architetto e Decoratore, pp. 81, (Nuova Galleria Campo dei Fiori), Roma 2009, p. 125, n. 49.


Dell’esecuzione dei mosaici per la fontana luminosa dell’EUR furono incaricati tre artisti (Giovanni Guerrini, Giulio Rosso, Gino Severini), esperti nella tecnica musiva. Antonella Greco ha studiato i documenti da cui sappiamo che Guerrini fu incaricato dei mosaici della fontana il 22 marzo 1939; il lavoro è completato ufficialmente con il collaudo del 25 aprile 1940. Guerrini affianca la trattazione di temi mitologici (La distruzione di Cartagine, Enea approda alle foci del Tevere, La nascita di Roma) ad altri allegorici (Il Tirreno, L’Adriatico, Il Mediterraneo), con una spigliatezza di linguaggio degna di nota rispetto al recepimento di un’attitudine classicistica abitudinaria, e forse portatrice di assonanze Déco: si veda la tendenza all’allungamento manieristico delle figure; ovvero l’assunzione di attitudini modernistiche, specie nella Nascita di Roma. All’inizio, il motivo principale avrebbe dovuto essere quello del fiume, il Tevere (era stata anche prevista una scultura monumentale distesa, sul tipo del Marforio capitolino o del Nilo vaticano, ipotesi presto lasciata cadere), per passare a privilegiare il tema marino, in consonanza con il tema caro a Mussolini dell’espansione di Roma verso il mare, ribadito perentoriamente nell’architrave principale dell’edificio. A suggerire i temi iconografici dovettero essere le classiche fonti dell’Eneide e di Livio…


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Eugene Berman (San Pietroburgo 1899 – Roma 1972)


Edipo e la Sfinge, 1962
Bozzetto per la rivista «Life Magazine», 18 gen 1963 n. 2
Tecnica mista su cartoncino, cm 27 x 19,2
Firmato e datato in basso al centro


Nel 1963 Berman sarà chiamato ad illustrare la copertina e alcune pagine interne del settimanale "Life Magazine", che nel gennaio di quello stesso anno aveva dato l'avvio ad una nuova serie dal titolo “The Miracle of Greece”, pubblicata in otto parti fino al mese di luglio di quello stesso anno. . L'artista si occuperà della II parte intitolata MYTHS, GODS, HEROES, una delle poche illustrate da disegni in luogo delle fotografie, usate invece per la maggior parte dei numeri della serie.
Eugene Berman, da tempo collezionista di reperti archeologici e fine cultore della letteratura classica, rappresenta Edipo secondo l'iconografia antica delle ceramiche attiche a figure rosse, abbigliato da viaggiatore e munito di un bastone. La Sfinge di fronte a lui, è invece rappresentata come le sculture arcaiche greche, con una coroncina di foglie intorno al capo e i capelli raccolti in due grandi ciocche ai lati del collo. Assimilabile alle sculture funerarie di quest'epoca è collocata su una base, una costruzione fatta di blocchi di pietra, su cui appare rigoglioso, palese anacronismo, un fico d'india. Nella versione finale pubblicata nel settimanale «Life Magazine», l'artista riprende l'impianto del disegno, ma sposta la scena a destra della composizione, apportandovi alcune modifiche…


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Fabrizio Clerici (Milano 1913 - Roma 1993)


Cornucopia, Anni '60.
Tecnica mista su carta, cm 26 x 51,8






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Giovanni Guerrini (Imola 1887 – Roma 1972)


Il Tirreno, 1938 ca.
Matita, china e biacca su cartoncino, cm 35 x 45
Esposizioni:
Milano 1999, Muri ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930 – 1950, Museo della Permanente, n. 66;
Roma 2005, E42-EUR Segno e Sogno del ‘900, Palazzo delle Fontane;
Roma 2009, Giovanni Guerrini, 1887 – 1972, Pittore, Architetto, Decoratore, Nuova Galleria Campo dei Fiori, n. 49.


Bibliografia:
Maurizio Calvesi, Enrico Guidoni, Simonetta Lux (a c.), E42 Utopia e scenario del Regime, II Urbanistica, architettura, arte e decorazione, Roma, Archivio Centrale dello Stato, Roma 1987 (Cataloghi Marsilio, Venezia), pp. 310-314; AA.VV., Muri ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930 – 1950, Milano 1999 (Mazzotta Editore, Milano), n. 66, pp. 185, 244; Carlo Bertilaccio, Francesco Innamorati, EUR S.p. A. e il Patrimonio di E42; manuale d’uso per edifici e opere, Palombi Editori, Roma 2004; Carlo Fabrizio Carli, Gianni Mercurio, Luigi Prisco, E42 – EUR Segno e sogno del ‘900, Roma 2005; Carlo Fabrizio Carli, Giovanni Guerrini, 1887 – 1972, Pittore, Architetto e Decoratore, pp. 81, (Nuova Galleria Campo dei Fiori), Roma 2009, p. 125, n. 49.


Dell’esecuzione dei mosaici per la fontana luminosa dell’EUR furono incaricati tre artisti (Giovanni Guerrini, Giulio Rosso, Gino Severini), esperti nella tecnica musiva. Antonella Greco ha studiato i documenti da cui sappiamo che Guerrini fu incaricato dei mosaici della fontana il 22 marzo 1939; il lavoro è completato ufficialmente con il collaudo del 25 aprile 1940. Guerrini affianca la trattazione di temi mitologici (La distruzione di Cartagine, Enea approda alle foci del Tevere, La nascita di Roma) ad altri allegorici (Il Tirreno, L’Adriatico, Il Mediterraneo), con una spigliatezza di linguaggio degna di nota rispetto al recepimento di un’attitudine classicistica abitudinaria, e forse portatrice di assonanze Déco: si veda la tendenza all’allungamento manieristico delle figure; ovvero l’assunzione di attitudini modernistiche, specie nella Nascita di Roma. All’inizio, il motivo principale avrebbe dovuto essere quello del fiume, il Tevere (era stata anche prevista una scultura monumentale distesa, sul tipo del Marforio capitolino o del Nilo vaticano, ipotesi presto lasciata cadere), per passare a privilegiare il tema marino, in consonanza con il tema caro a Mussolini dell’espansione di Roma verso il mare, ribadito perentoriamente nell’architrave principale dell’edificio. A suggerire i temi iconografici dovettero essere le classiche fonti dell’Eneide e di Livio…


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Duilio Cambellotti (Roma 1876-1960)


I Gemelli del Regillo, 1928
Xilografia, cm 49 x 48





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Giovanni Guerrini (Imola 1887 – Roma 1972)


Il Mediterraneo, 1938 ca.
Matita, china e biacca su cartoncino, cm 35 x 45
Esposizioni:
Milano 1999, Muri ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930 – 1950, Museo della Permanente, n. 66;
Roma 2005, E42-EUR Segno e Sogno del ‘900, Palazzo delle Fontane;
Roma 2009, Giovanni Guerrini, 1887 – 1972, Pittore, Architetto, Decoratore, Nuova Galleria Campo dei Fiori, n. 49.


Bibliografia:
Maurizio Calvesi, Enrico Guidoni, Simonetta Lux (a c.), E42 Utopia e scenario del Regime, II Urbanistica, architettura, arte e decorazione, Roma, Archivio Centrale dello Stato, Roma 1987 (Cataloghi Marsilio, Venezia), pp. 310-314; AA.VV., Muri ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930 – 1950, Milano 1999 (Mazzotta Editore, Milano), n. 66, pp. 185, 244; Carlo Bertilaccio, Francesco Innamorati, EUR S.p. A. e il Patrimonio di E42; manuale d’uso per edifici e opere, Palombi Editori, Roma 2004; Carlo Fabrizio Carli, Gianni Mercurio, Luigi Prisco, E42 – EUR Segno e sogno del ‘900, Roma 2005; Carlo Fabrizio Carli, Giovanni Guerrini, 1887 – 1972, Pittore, Architetto e Decoratore, pp. 81, (Nuova Galleria Campo dei Fiori), Roma 2009, p. 125, n. 49.


Dell’esecuzione dei mosaici per la fontana luminosa dell’EUR furono incaricati tre artisti (Giovanni Guerrini, Giulio Rosso, Gino Severini), esperti nella tecnica musiva. Antonella Greco ha studiato i documenti da cui sappiamo che Guerrini fu incaricato dei mosaici della fontana il 22 marzo 1939; il lavoro è completato ufficialmente con il collaudo del 25 aprile 1940. Guerrini affianca la trattazione di temi mitologici (La distruzione di Cartagine, Enea approda alle foci del Tevere, La nascita di Roma) ad altri allegorici (Il Tirreno, L’Adriatico, Il Mediterraneo), con una spigliatezza di linguaggio degna di nota rispetto al recepimento di un’attitudine classicistica abitudinaria, e forse portatrice di assonanze Déco: si veda la tendenza all’allungamento manieristico delle figure; ovvero l’assunzione di attitudini modernistiche, specie nella Nascita di Roma. All’inizio, il motivo principale avrebbe dovuto essere quello del fiume, il Tevere (era stata anche prevista una scultura monumentale distesa, sul tipo del Marforio capitolino o del Nilo vaticano, ipotesi presto lasciata cadere), per passare a privilegiare il tema marino, in consonanza con il tema caro a Mussolini dell’espansione di Roma verso il mare, ribadito perentoriamente nell’architrave principale dell’edificio. A suggerire i temi iconografici dovettero essere le classiche fonti dell’Eneide e di Livio…


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Giovanni Guerrini (Imola 1887 – Roma 1972)


La Distruzione di Cartagine, 1938 ca.
Matita, china e biacca su cartoncino, cm 35 x 45
Esposizioni:
Milano 1999, Muri ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930 – 1950, Museo della Permanente, n. 66;
Roma 2005, E42-EUR Segno e Sogno del ‘900, Palazzo delle Fontane;
Roma 2009, Giovanni Guerrini, 1887 – 1972, Pittore, Architetto, Decoratore, Nuova Galleria Campo dei Fiori, n. 49.


Bibliografia:
Maurizio Calvesi, Enrico Guidoni, Simonetta Lux (a c.), E42 Utopia e scenario del Regime, II Urbanistica, architettura, arte e decorazione, Roma, Archivio Centrale dello Stato, Roma 1987 (Cataloghi Marsilio, Venezia), pp. 310-314; AA.VV., Muri ai pittori. Pittura murale e decorazione in Italia 1930 – 1950, Milano 1999 (Mazzotta Editore, Milano), n. 66, pp. 185, 244; Carlo Bertilaccio, Francesco Innamorati, EUR S.p. A. e il Patrimonio di E42; manuale d’uso per edifici e opere, Palombi Editori, Roma 2004; Carlo Fabrizio Carli, Gianni Mercurio, Luigi Prisco, E42 – EUR Segno e sogno del ‘900, Roma 2005; Carlo Fabrizio Carli, Giovanni Guerrini, 1887 – 1972, Pittore, Architetto e Decoratore, pp. 81, (Nuova Galleria Campo dei Fiori), Roma 2009, p. 125, n. 49.


Dell’esecuzione dei mosaici per la fontana luminosa dell’EUR furono incaricati tre artisti (Giovanni Guerrini, Giulio Rosso, Gino Severini), esperti nella tecnica musiva. Antonella Greco ha studiato i documenti da cui sappiamo che Guerrini fu incaricato dei mosaici della fontana il 22 marzo 1939; il lavoro è completato ufficialmente con il collaudo del 25 aprile 1940. Guerrini affianca la trattazione di temi mitologici (La distruzione di Cartagine, Enea approda alle foci del Tevere, La nascita di Roma) ad altri allegorici (Il Tirreno, L’Adriatico, Il Mediterraneo), con una spigliatezza di linguaggio degna di nota rispetto al recepimento di un’attitudine classicistica abitudinaria, e forse portatrice di assonanze Déco: si veda la tendenza all’allungamento manieristico delle figure; ovvero l’assunzione di attitudini modernistiche, specie nella Nascita di Roma. All’inizio, il motivo principale avrebbe dovuto essere quello del fiume, il Tevere (era stata anche prevista una scultura monumentale distesa, sul tipo del Marforio capitolino o del Nilo vaticano, ipotesi presto lasciata cadere), per passare a privilegiare il tema marino, in consonanza con il tema caro a Mussolini dell’espansione di Roma verso il mare, ribadito perentoriamente nell’architrave principale dell’edificio. A suggerire i temi iconografici dovettero essere le classiche fonti dell’Eneide e di Livio…


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Duilio Cambellotti (Roma 1876-1960)


Caput Oli, 1935 ca.
Xilografia, cm 50,1 x 50,1 (margini tagliati)
Dedica e firma autografa in basso a destra


Bibliografia:
Duilio Cambellotti. Catalogo delle incisioni, a cura di M. Quesada, Roma 1983, n. 66 e tav. 104, pp. 99, 150;
F. Parisi e M. Vittori, Duilio Cambellotti xilografo e illustratore. Dalle Leggende Romane a La conquista della Terra, Latina 2007, n. 62, pp. 92, 108.


Come per tutto il ciclo delle Romanae Fabulae, che fu completato interamente, a seguito dell’approfondimento della tecnica d’intaglio e dalla metà degli anni ’20, in xilografia su legno di filo Cambellotti utilizzò come fonte il dizionario delle antichità greche e romane di Daremberg e Saglio. Nel volume è riportata la leggenda relativa alla fondazione del tempio di Giove, Giunone e Minerva, la cosiddetta Triade Capitolina, già venerata dalle popolazioni sabine. Durante gli scavi per le fondamenta fu ritrovata una testa rimasta intatta nella profondità del suolo; questo episodio consacrò il colle romano come il più importante, come una testa (caput) che comandasse l’intero corpo della città…





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Fabrizio Clerici (Milano 1913 - Roma 1993)


La Luce di Lessing, 1979
Olio su tavola, cm 70 x 100






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Antonietta Raphael


Leda e il Cigno, 1948
Terracotta dipinta, cm 39 x 19 x 17


Esposizioni:
1949 Mostra degli artisti liguri che hanno partecipato alla XXIV Biennale di Venezia, catalogo con presentazione di E. Zanzi, Galleria Fuselli e Profumo, Genova, n. 45 (Leda col cigno 1948). 1985 Antonietta Raphaël, catalogo a cura di F. D'Amico, Padiglione d'arte contemporanea, Milano – Roma 1985 p. 20, 64, n. 37 (Leda e il Cigno, 1948). 2003 Antonietta Raphaël, opere dal 1933 al 1974, catalogo a cura di G. Appella, Matera, p. 65, n.55 (Leda, 1948)


Bibliografia:
M. Pinottini, Scultura di Raphaël, Milano 1971, p. 284, tav. 64 (Leda 1948).
E. Siciliano, Il risveglio della bionda sirena, Raphaël e Mafai. Storia di un amore coniugale, Milano, 2004, pp. 182 – 192.


Leda fu esposta per la prima volta nel 1949 a Genova, dove Antonietta Raphaël viveva ormai da tempo, rifugiata dopo l'emanazione delle leggi raziali. In alcune pubblicazioni l'opera viene indicata semplicemente con il nome di Leda, come riportato nella targhetta in basso a sinistra. Plasmata nella terracotta, materia prediletta dall'artista, e poi dipinta, l'opera ritrae la sposa di Tindaro, re di Sparta, completamente nuda, stretta in un sensuale abbraccio ad un cigno, che diversamente dalla tradizione iconografica non è bianco, ma completamente nero. Le sue larghe ali lasciano scoperta la morbida figura femminile di Leda con le rotondità appena accennata del seno, dei glutei e dei larghi fianchi, probabilmente l'artista stessa dato che l'uso della modella di professione non fu mai un'abitudine della Raphaël, tanto nella pittura quanto più tardi nella scultura...




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Fabrizio Clerici (Milano 1913 - Roma 1993)


La Luce di Lessing, 1979
Tempera su carta, cm 50 x 70




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Duilio Cambellotti (Roma 1876-1960)


Mamors, 1927 ca.
Xilografia, cm 50 x 47,5
Firmato in basso a destra «CD» e SPIGA, firma autografa in basso «Duilio Cambellotti» e SPIGA.


Bibliografia:
Duilio Cambellotti. Catalogo delle incisioni, a cura di M. Quesada, Roma 1983, n. 53 e tav. 76, pp. 71 e 148;
F. Parisi e M. Vittori, Duilio Cambellotti xilografo e illustratore. Dalle Leggende Romane a La conquista della Terra, Latina 2007, n. 41, pp. 81 e 107.


Il 17 aprile 1943, in piena guerra, Cambellotti pubblicò sulla rivista «Gente Nostra» una selezione di otto Leggende Romane. Il ciclo fu completato interamente, a seguito dell’approfondimento della tecnica d’intaglio e dalla metà degli anni ’20, in xilografia su legno di filo. Quella di Mamors, dizione arcaica di Marte, rappresentava per l’artista la trasposizione mitica degli antichi abitanti dei monti e degli acquitrini della valle del Tevere, etruschi, sabini e latini, nucleo originario dell’Urbe; in loro Cambellotti ravvisava gli stessi volti immaginati per gli eroi, attribuendogli il merito di aver edificato Roma sotto le insegne, appunto, di Marte (la lancia e l’aratro)…






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Fabrizio Clerici (Milano 1913 – Roma 1993)


Minerva phlegraea, 1956-1957
Olio su tavola, cm 60 x 90
Firmato in basso a destra F. Clerici 1956/1957
Sul verso: Etichetta “Galleria Iolas-Galatea” scrittura autografa Minerva Flegrea e bollino del precedente proprietario (collezione Luisa Feltrinelli Doria), Collezione privata


Provenienza
Collezione Donna Luisa Feltrinelli Doria, Milano; collezione Eros Renzetti, Roma


Esposizioni
Milano, 1957; Roma, 1969; Berlino, 1968; Ferrara, 1983; Roma, 1990


Bibliografia
A. Moravia, 1957, cat. n. 5; T. Chiaretti, 1969, n. 6 ripr. col.; H. Uhulig, G. R. Hocke, 1968, p. 9 n. 14


Il dipinto trae ispirazione dalla lettura del VI Canto dell’Eneide; l’immagine della testa è
ripresa dalla Dea di Butrinto conservata al Museo Nazionale Romano delle Terme, Roma. La
tavola del dipinto è progettata da Fabrizio Clerici; nel verso essa presenta una complessa
struttura di assi. La cornice è altrettanto ideata da Clerici con dei finti tarli.



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Andrea Spadini (Roma 1912 – 1983)


Il fiume Tevere, 1959 - 1960
Argento Massiccio, cm 26 x 40 x 11
Firmato Andrea Spadini, sul retro lungo la spallina della corazza


Provenienza:
Galleria Dario Ghio (Montecarlo)


Esposizioni:
Andrea Spadini (1912-1983), mostra a cura di Monica Cardarelli, Roma 2019.


L’opera, fa parte della serie de I Fiumi, che Andrea Spadini comincia a progettare intorno alla fine degli anni Cinquanta. Si tratta delle personificazioni di alcuni dei più importanti fiumi del mondo, tra cui Il Nilo, Il Gange, Il Murray, L’Hudzon, Il Danubio, Il Congo, Il Tevere. Nell’iconografia del Tevere l’artista riassume i simboli fondamentali della storia antica di Roma; a formare la prua dell’imbarcazione è infatti l’aquila, icona del supremo potere di Giove su tutti gli dei e allo stesso tempo emblema della Roma antica. All’opposto, a formare la poppa dell’imbarcazione è invece la lupa, che secondo la leggenda aveva nutrito i gemelli fondatori di Roma, trovati in una cesta proprio sulle rive del Tevere. La figura maschile che impersona il fiume è anch’essa connotata da elementi che richiamano alla nascita di Roma, la lorica, la corazza che indossa è propria dell’imperatore, così come la corona triunphalis che gli cinge il capo è il simbolo della massima onorificenza che la Roma imperiale attribuiva al generale trionfante, la prima delle quali venne riconosciuta a Romolo dopo la sua vittoria sul re dei ceninesi…


Per la scheda completa consultare il catalogo '900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
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Fabrizio Clerici (Milano 1913 - Roma 1993)


Omaggio a Bocklin, 1968
Olio su tavola, cm 39 x 30
Firmato e datato in basso a destra





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Eugene Berman (San Pietroburgo 1899 – Roma 1972)


Il cavallo di Troia, 1962
Bozzetto per la rivista «Life Magazine», 18 gen 1963 n. 2
Tecnica mista su cartoncino, cm 27 x 19,2
Firmato in basso al centro


Bibliografia:
Miths Gods Heroes, in «Life Magazine», 18 gen 1963, Oral history interview with Clinton Adams, 1974 March 29. Archives of American Art, Smithsonian , Institution. (https://www.aaa.si.edu/collections/interviews/oral-history-interview-clinton-adams-11669#overview);
Leonid Berman, The three worlds of Leonid, 1978, Mary Panzer, Eugene Berman's Mexico, in «Archives of American Art Journal», 2012,Vol 51, N.1


Nel 1963 Berman sarà chiamato ad illustrare la copertina e alcune pagine interne del settimanale Life Magazine. I tre fogli in esame sono per l'appunto i bozzetti preparatori per la copertina, e per alcune pagine interne dedicate ai tre miti del Cavallo di Troia, di Edipo, e delle Sirene. Il primo di essi è il disegno preparatorio per la copertina della rivista, con il Cavallo di Troia, al centro della composizione, che occupa quasi l'intero spazio del foglio. Rappresentato di profilo con il muso rivolta all'indietro, il cavallo appare trascinato da lunghe funi. Retto sulle quattro zampe, poggia su grandi ruote intorno alle quali si accalcano, minuscoli come formiche, alcuni soldati muniti di scudi. Sulla sua groppa è un'apertura da cui sono in atto di uscire alcuni soldati, mentre altri appaiono abbarbicati sui pioli della lunga scala poggiata sul fianco del cavallo. Sullo sfondo, sul lato destro del foglio, si vedono una torre e le mura della città di Troia, difficile dire se il cavallo vi sia già entrato. L'ideale prototipo di ispirazione è memore dei celebri cavalli scultorei, dipinti o affrescati nel corso dei secoli…


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Corrado Cagli (Ancona 1910 – Roma 1976)


La notte di San Giovanni, 1933-1934
Encausto su tavola, cm 40,1 x 59,7
In basso a destra: “Cagli”. Sul verso “C.ssa Anna Laetitia / Pecci -Blunt/ n°30”


Provenienza
Contessa Anna Laetitia Pecci-Blunt, Roma.


Esposizioni
Seconda Quadriennale d’Arte Nazionale, catalogo mostra a cura di C.E. Oppo, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 5 febbraio- 31 luglio 1935, n.17, p.43 ill. b/n. (titolo La notte di S. Giovanni, tecnica indicata “tempera a cera”).


La notte di S. Giovanni risultava dispersa dal 1935, quando nella Seconda Quadriennale di Roma è inclusa nel gruppo di opere presentato dal venticinquenne Corrado Cagli in una sala condivisa con Carlo Carrà, tra i protagonisti del Futurismo e della Metafisica, negli anni Venti approdato a un equilibrato e colto ‘naturalismo’. Da allora Cipriano Efisio Oppo, uomo di fiducia di Mussolini per l’arte e organizzatore dell’esposizione, ha fatto di Carrà il modello da indicare ai giovani emergenti, quindi il garante del ricambio generazionale.
La natura morta di Cagli evoca la notte ‘magica’ della vigilia di San Giovanni Battista tra il 23 e il 24 giugno, legata al solstizio d’estate e festeggiata in molte culture. Un’antichissima tradizione romana la credeva la ‘notte delle streghe’: quegli spiriti maligni si aggiravano per la città in cerca di anime e si riunivano a San Giovanni in Laterano dove raccoglievano per le pozioni erbe magiche spuntate in quella notte nei prati adiacenti la basilica. Tra addobbi, falò e musica, nella piazza del Laterano si consumava una sorta di baccanale popolare, durante il quale bisognava fare rumore con trombe, trombette, campanacci di coccio, tamburelli e petardi per fare scappare le streghe.



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Publio Morbiducci (Roma 1889 – 1963)


Cavallo, 1941 ca.
Gesso, cm 44,5 x 49 x 14,5


Bibliografia:
Publio Morbiducci 1889-1963 Pitture Sculture Medaglie, catalogo mostra, Roma 1999, p. 141, fig. 41


Esposizioni:
Publio Morbiducci, Nudi Maschili, a cura di Monica Cardarelli, Roma, Galleria del Laocoonte, 2019 – 2020


I due gessi furono realizzati da Morbiducci nell’ambito della sua attività scultorea legata alla politica di interventi artistici per l’architettura, in particolare la decorazione dei palazzi dell’ente Eur. Morbiducci ricevette una richiesta per la realizzazione di una quadriga di cavalli che avrebbe dovuto ornare la mensola in aggetto realizzata al centro della facciata del Palazzo dei Congressi. Il perdurare, a causa degli eventi storici, del cantiere della struttura (la costruzione, terminata nelle sue parti fondamentali nel 1943, vide la sua completa conclusione solo nel 1952) fece sì che il gruppo scultoreo rimanesse ad uno stato di abbozzo senza essere mai realizzato; la quadriga successivamente eseguita da Francesco Messina non venne ugualmente mai messa in posa, e la facciata del Palazzo è rimasta sguarnita di qualsiasi decorazione plastica. Nella scelta di Morbiducci di raffigurare dei giovani puledri, dalla struttura agile e scattante, anziché cavalli adulti dalle forme più piene e massicce, è facile scorgere una diretta influenza di Duilio Cambellotti. Il gruppo in gesso è infatti accostabile a diverse opere eseguite, seppur in anni precedenti, da Cambellotti, in particolare alla Conca dei tre cavalli nella quale tre vannini sono raffigurati nell’atto di abbeverarsi, i tendini tesi, gli arti nervosamente in movimento.


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Giulio Bargellini (Firenze 1875 - Roma 1936)


Flora, 1926-1927
Cartone preparatorio per affresco
Matita e carboncino su carta, mm 2260 x 850


Realizzato fra il 1926 e il 1927 il cartone è preparatorio per tre figure della composizione allegorica ad affresco raffigurante La probità, eseguita da Bargellini a decoro dello scalone del Palazzo dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni di Roma (oggi sede dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America), progettato dall’architetto Ugo Giovannozzi, realizzato fra il 1923 e il 1927 e inaugurato il 30 ottobre 1927 da Mussolini, nell’ambito delle celebrazioni per l’anniversario della marcia su Roma.
Arricchita dall’iscrizione Labor cum probitate / otium cum dignitate (Il lavoro con onestà / l’ozio con dignità) la composizione raffigura un corteo aperto dalla giovane recante dei fiori che esce da un grande tempio sullo sfondo – che nell’architettura ricorda i propilei dell’Altare della Patria per il quale Bargellini aveva realizzato i mosaici del quadriportico – e riflette quanto l’artista aveva scritto in occasione del ciclo di affreschi per la Sala del Consiglio nel Palazzo della Banca d’Italia realizzati pochi anni prima (i primi progetti sono data 1921) dove ugualmente era presente un corteo di figure allegoriche recanti doni e fiori: “i cortei allegorici convergono a una culminante scena d’amore”...



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Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961)


Studio di portali per il Palazzo del “Popolo d’Italia” a Milano, 1939
Matita e tempera su carta dattiloscritta, cm 27,5 x 21,1
Firmato in basso a destra: “SIRONI”


Esposizioni:
Mario Sironi, disegni e tempere, Roma, Galleria del Laocoonte, 2014, fig. 42


Questo studio fa parte di un complesso lavoro di collaborazione intrapreso da Sironi con l’architetto milanese Giovanni Muzio e riferito al Palazzo del “Popolo d’Italia”, la nuova costruzione che a Milano doveva ospitare la sede del giornale del Partito Nazionale Fascista, fuori Porta Nuova, in Piazza Cavour (oggi noto come “Palazzo dei Giornali”). Il progetto vide una stretta collaborazione tra Sironi e Muzio, sia nella partizione architettonica dell’edificio, sia nella decorazione dello stesso, sia interna che esterna. Questo studio è forse riferibile al Salone d’Onore del Palazzo, o ad altri portali situati in diversi contesti, in particolare nell’atrio, ed è databile al 1939…



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Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961)


Scipione l’Africano, 1936-1950
Tempera su carta, mm 370 x 245
Firmato in basso a destra: “SIR”


Esposizioni:
Mario Sironi, disegni e tempere, Roma, Galleria del Laocoonte, 2014, fig. 30


Si tratta di uno studio per una delle numerose illustrazioni cui Sironi si dedicò nel corso degli anni Venti e Trenta. In particolare il soggetto evoca Scipione l’Africano, il generale romano che condusse vittoriose campagne in Africa. Il tema si accorda perfettamente con quello della propaganda fascista delle campagne in Africa che condussero alla proclamazione dell’Impero nel 1936. Benché la tempera presenti molte assonanze con le illustrazioni sironiane del libro "Italia Imperiale" (1937), è più probabile che si tratti di uno studio di un’illustrazione non realizzata per “La Rivista Illustrata del Popolo d’Italia”, databile tra il 1936 e il 1940…



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Achille Capizzano (Rende 1907 - Roma 1951)


Lotta di cavalieri antichi, 1936 - 1938
Bozzetti per la pavimentazione a mosaico di Piazzale dell'Impero al Foro Italico
China su carta applicata su tela, cm 101 x 56


Pubblicazioni:
Vincenzo Perugini, Achille Capizzano pittore, Cosenza, Luigi Pellegrini editore, 1966, tav. V bis; Andrea Romoli, Ieri: Gino Severini e Achille Capizzano, Mosaici a Roma: ieri e oggi, in Terzoocchio, 24.1998 p. 10


Bibliografia:
E42 – EUR. Segno e sogno del ‘900, catalogo della mostra a Palazzo degli Uffici – Salone delle Fontane (1-30 aprile 2005), a c. di Carlo Fabrizio Carli, Gianni Mercurio, Luigi Prisco, Roma, Eur spa, 2005; Francesca Coiro Cecchini, L’architettura del Ventennio a Roma, Roma Edilazio, 2001; Carlo Bertilaccio e Francesco Innamorati, EUR Spa. E42 heritage, Roma, Palombi editore, 2005; Vieri Quilici, EUR. Una moderna città di fondazione, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2015; Esposizione Universale Roma. Una città nuova dal fascismo agli anni ’60, catalogo della mostra al Museo dell’Ara Pacis (12 marzo – 14 giugno 2015), a c. di Vittorio Vidotto, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2015


I cinque bozzetti in esame furono disegnati da Achille Capizzano tra il 1936 e il 1938 per la messa in opera di alcune delle scene della vasta decorazione a mosaico della pavimentazione del Piazzale dell’Impero a Roma. Si tratta di un'ampia area destinata alle discipline sportive e alle manifestazioni celebrative del Regime Fascista, il cui programma iconografico a cui l'artista dovette attenersi è ispirato ai personaggi e ai temi dell'antica Roma: La Fondazione di Roma, Lotta di cavalieri antichi, Vittorie, Il Mar Mediterraneo. L'opera di Capizzano riguarda solo una parte della più vasta area del Piazzale, ben 7.500 metri quadri! Nel progetto furono coinvolti oltre ad Achille Capizzano, già collaboratore collaudato dell'architetto Luigi Moretti, che nel 1936 era subentrato alla direzione dei lavori a Enrico del Debbio (1895 – 1973), anche Luigi Severini (1883 - 1966), Angelo Canevari e Giulio Rosso (1897 – 1976), che si cimentarono nella rappresentazione di altrettanti temi ed accadimenti storici atti ad esaltare il regime fascista e la sua presa del potere, la conquista dell’Etiopia, l’operosità degli italiani, le arti, l’educazione fisica e le attività sportive.
Alla messa in opera della vasta area musiva vi lavorarono ben 200 mosaicisti della Scuola Mosaicisti del Friuli di Spilimbergo nel 1937.


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Francesco Messina


Ritratto di Indro Montanelli, 1950
Bronzo, cm 37 x 19 x 23



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Achille Capizzano (Rende 1907 - Roma 1951)


La Fondazione di Roma, 1936 -1938
Bozzetti per la pavimentazione a mosaico di Piazzale dell'Impero al Foro Italico
China su carta applicata su tela, cm 90,5 x 50


Pubblicazioni:
Vincenzo Perugini, Achille Capizzano pittore, Cosenza, Luigi Pellegrini editore, 1966, tav. V bis; Andrea Romoli, Ieri: Gino Severini e Achille Capizzano, Mosaici a Roma: ieri e oggi, in Terzoocchio, 24.1998 p. 10


Bibliografia:
E42 – EUR. Segno e sogno del ‘900, catalogo della mostra a Palazzo degli Uffici – Salone delle Fontane (1-30 aprile 2005), a c. di Carlo Fabrizio Carli, Gianni Mercurio, Luigi Prisco, Roma, Eur spa, 2005; Francesca Coiro Cecchini, L’architettura del Ventennio a Roma, Roma Edilazio, 2001; Carlo Bertilaccio e Francesco Innamorati, EUR Spa. E42 heritage, Roma, Palombi editore, 2005; Vieri Quilici, EUR. Una moderna città di fondazione, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2015; Esposizione Universale Roma. Una città nuova dal fascismo agli anni ’60, catalogo della mostra al Museo dell’Ara Pacis (12 marzo – 14 giugno 2015), a c. di Vittorio Vidotto, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2015


I cinque bozzetti in esame furono disegnati da Achille Capizzano tra il 1936 e il 1938 per la messa in opera di alcune delle scene della vasta decorazione a mosaico della pavimentazione del Piazzale dell’Impero a Roma. Si tratta di un'ampia area destinata alle discipline sportive e alle manifestazioni celebrative del Regime Fascista, il cui programma iconografico a cui l'artista dovette attenersi è ispirato ai personaggi e ai temi dell'antica Roma: La Fondazione di Roma, Lotta di cavalieri antichi, Vittorie, Il Mar Mediterraneo. L'opera di Capizzano riguarda solo una parte della più vasta area del Piazzale, ben 7.500 metri quadri! Nel progetto furono coinvolti oltre ad Achille Capizzano, già collaboratore collaudato dell'architetto Luigi Moretti, che nel 1936 era subentrato alla direzione dei lavori a Enrico del Debbio (1895 – 1973), anche Luigi Severini (1883 - 1966), Angelo Canevari e Giulio Rosso (1897 – 1976), che si cimentarono nella rappresentazione di altrettanti temi ed accadimenti storici atti ad esaltare il regime fascista e la sua presa del potere, la conquista dell’Etiopia, l’operosità degli italiani, le arti, l’educazione fisica e le attività sportive.
Alla messa in opera della vasta area musiva vi lavorarono ben 200 mosaicisti della Scuola Mosaicisti del Friuli di Spilimbergo nel 1937.


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Dlab Service



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Edoardo Gioja (Roma 1862 – Londra 1937)


ULMISQUE ADIVGERE VITES CONVENIAT, Primi anni del '900
Matita grassa e pastello gessoso su cartoncino verde olivastro, cm 36 x 33,5, diam. cm 28
Firma in basso: EDUARDUS GIOIA PICTOR FECIT


Bibliografia:
R. Pantini, Artisti contemporanei: Edoardo Gioia, in «Emporium», voi. XIII, n. 75, 190 I pp. 162-187, R. Pantini, Canti di vita, Treves, Milano 1910


Il titolo che Edoardo Gioia sceglie per il disegno – parte del secondo e terzo esametro dell’annuncio programma che Virgilio dedica a Mecenate, inseriti nel proemio del poema«Le Georgiche» – indica la scelta iconografica dell’artista: l’inviluppo dei pampini intorno ad una figura allegorica femminile. Edoardo Gioia conosce il messaggio di Virgilio che mira ad esaltare l’attività agricola come palestra di virtù civili e partecipazione del cittadino a vantaggio della collettività, assimilando quel messaggio didascalico ai suoi modi di comunicare: l’artista è così il nuovo interprete e maieuta del rapporto instaurato tra l’uomo e la natura. Il disegno, firmato in basso entro un cartiglio, con gli stessi caratteri lapidari latini del titolo, data la vistosità della firma e la mancanza del nome del possessore del libro, potrebbe riferirsi ad un progetto decorativo elaborato tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento…



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Gino Severini (Cortona 1883 – Parigi 1966)


Bozzetto per il pannello di Silvano, fontana monumentale del Palazzo degli Uffici all’Eur, 1939
Tempera, china e biacca su carta, cm 60 x 48
Firmato in basso verso sinistra: “G. Severini”


Bibliografia:
A. Greco, Gino Severini, Giulio Rosso, Giovanni Guerrini, in E42: utopia e scenario del regime, a cura di M. Calvesi, E. Guidoni, S. Lux, Roma, Archivio Centrale dello Stato, aprile-maggio 1987, pp. 310-314; Roma, Galleria Arco Farnese, Gino Severini. Affreschi, mosaici, decorazioni monumentali, 1921-1941, a cura di F. Benzi, 12 maggio-30 giugno 1992, p. 97.


Si tratta del bozzetto definitivo di uno dei pannelli musivi disegnati da Severini per la sezione centrale della fontana monumentale antistante il Palazzo degli Uffici all’Eur. Il pannello raffigura una antica divinità romana che presiedeva alle selve, affine a Fauno; Severini lo raffigura secondo l’iconografia romana col falcetto in mano e il cane a fianco, circondato da un’abbondante messe di frutti. l’autore approfitta della tematica campestre per incastonare, soprattutto ai piedi del nudo virile, una natura morta, ricca di dettagli e di trofei di caccia che rimandano in modo diretto al suo lungo esercizio pittorico del quarto decennio, nel quale nature morte d’ispirazione classica – talvolta associate a maschere e statue femminili antiche – prevalgono su ogni altro soggetto…



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Achille Capizzano (Rende 1907 - Roma 1951)


Augusto Imperatore
China su carta applicata su tela, cm 93,5 x 60



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Gino Severini (Cortona 1883 – Parigi 1966)


Bozzetto per il pannello di Flora, fontana monumentale del Palazzo degli Uffici all’Eur, 1939
Tempera, china e biacca su carta, cm 60 x 48
Firmato in basso al centro: “G. Severini”


Bibliografia:
Roma, Galleria Arco Farnese, Gino Severini. Affreschi, mosaici, decorazioni monumentali, 1921-1941, a cura di F. Benzi, 12 maggio - 30 giugno 1992, p. 97, fig. 4 (ripr. del mosaico)


Si tratta del bozzetto definitivo di uno dei pannelli musivi disegnati da Severini per la sezione centrale della fontana monumentale antistante il Palazzo degli Uffici all’Eur. la figura di Flora, allusiva alla ricchezza e alla fecondità garantite dai tempi nuovi, invece di stagliarsi isolata sul fondo, s’inanella con figure minori, di pura invenzione, nelle quali è dato persino rintracciare alcuni motivi già presenti in epoca cubista. L’incontro con l’iconografia classica induce Severini ad abbandonare quelle costruzioni piramidali fortemente geometrizzanti (pannelli per la mostra del Dopolavoro 1938) o di gusto neobizantino, visibili ad esempio nei mosaici del Palazzo di Giustizia di Milano, per un comporre assai più fluido, libero e ricco di fantasia che gli permette di dare spazio a molti dettagli decorativi precedentemente sacrificati…



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Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961)


Colonna Bellica, Studio per una copertina di Gerarchia, 1934 ca.
Inchiostro e matita su carta, cm 23 x 16


Esposizioni:
Mario Sironi, Chieti , 2001 – 2002, n. 59
Mario Sironi, Sassari 2011, p. 79
Mario Sironi, disegni e tempere, Roma, Galleria del Laocoonte, 2014, fig. 7.


Sironi illustrò la rivista “Gerarchia”, rivista politica del fascismo, fin dal primo numero del gennaio 1922, e continuò a fornirle la copertina (in genere una o due l’anno, che si ripetevano) fino al 1935, oltre che, tra 1934 e 1935, alcune illustrazioni interne. Per lo stile grafico, questo studio si deve situare intorno al 1934…



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Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961)


Figure e architetture, 1932-1934
Inchiostro e matita su carta, cm 31 x 21


L’opera si può datare al 1932-1934 circa. Il segno lineare semplificato richiama diversi studi per le vetrate del Ministero delle Corporazioni (1931), così come la spazialità classica e l’atteggiamento ricorda i grandi pannelli eseguiti per il Palazzo delle Poste di Bergamo (1933) di Marcello Piacentini. È il momento iniziale dell’ideologia “muralista”, sancita teoricamente col Manifesto della Pittura Murale del 1933 e firmato da Sironi con Carrà, Funi e Campigli…



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Achille Capizzano (Rende 1907 - Roma 1951)


Vittorie, 1936 - 1938
Bozzetti per la pavimentazione a mosaico di Piazzale dell'Impero al Foro Italico
China su carta applicata su tela, cm 115 x 55,5


Pubblicazioni:
Vincenzo Perugini, Achille Capizzano pittore, Cosenza, Luigi Pellegrini editore, 1966, tav. V bis; Andrea Romoli, Ieri: Gino Severini e Achille Capizzano, Mosaici a Roma: ieri e oggi, in Terzoocchio, 24.1998 p. 10


Bibliografia:
E42 – EUR. Segno e sogno del ‘900, catalogo della mostra a Palazzo degli Uffici – Salone delle Fontane (1-30 aprile 2005), a c. di Carlo Fabrizio Carli, Gianni Mercurio, Luigi Prisco, Roma, Eur spa, 2005; Francesca Coiro Cecchini, L’architettura del Ventennio a Roma, Roma Edilazio, 2001; Carlo Bertilaccio e Francesco Innamorati, EUR Spa. E42 heritage, Roma, Palombi editore, 2005; Vieri Quilici, EUR. Una moderna città di fondazione, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2015; Esposizione Universale Roma. Una città nuova dal fascismo agli anni ’60, catalogo della mostra al Museo dell’Ara Pacis (12 marzo – 14 giugno 2015), a c. di Vittorio Vidotto, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2015


I cinque bozzetti in esame furono disegnati da Achille Capizzano tra il 1936 e il 1938 per la messa in opera di alcune delle scene della vasta decorazione a mosaico della pavimentazione del Piazzale dell’Impero a Roma. Si tratta di un'ampia area destinata alle discipline sportive e alle manifestazioni celebrative del Regime Fascista, il cui programma iconografico a cui l'artista dovette attenersi è ispirato ai personaggi e ai temi dell'antica Roma: La Fondazione di Roma, Lotta di cavalieri antichi, Vittorie, Il Mar Mediterraneo. L'opera di Capizzano riguarda solo una parte della più vasta area del Piazzale, ben 7.500 metri quadri! Nel progetto furono coinvolti oltre ad Achille Capizzano, già collaboratore collaudato dell'architetto Luigi Moretti, che nel 1936 era subentrato alla direzione dei lavori a Enrico del Debbio (1895 – 1973), anche Luigi Severini (1883 - 1966), Angelo Canevari e Giulio Rosso (1897 – 1976), che si cimentarono nella rappresentazione di altrettanti temi ed accadimenti storici atti ad esaltare il regime fascista e la sua presa del potere, la conquista dell’Etiopia, l’operosità degli italiani, le arti, l’educazione fisica e le attività sportive.
Alla messa in opera della vasta area musiva vi lavorarono ben 200 mosaicisti della Scuola Mosaicisti del Friuli di Spilimbergo nel 1937.


Per la scheda completa consultare il catalogo '900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
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Eugene Berman (San Pietroburgo 1899 – Roma 1972)


Ulisse e le Sirene, 1962
Bozzetto per la rivista «Life Magazine», 18 gen 1963 n. 2
Tecnica mista su cartoncino, cm 27 x 19,2
Firmato e datato in basso al centro


Bibliografia:
Odissea, traduzione di E. Romagnoli,
Oral history interview with Clinton Adams, 1974 March 29. Archives of American Art, Smithsonian Institution (https://www.aaa.si.edu/collections/interviews/oral-history-interview-clinton-adams-11669#overview). Scavo nello scavo, gli Etruschi non visti. Ricerche e riscoperte nei depositi dei musei archeologici dell'Etruria Meridionale, a. c. di Anna Maria Gubetti Sgubini, ed. Union Printing S.p. a., Roma, 2004; Vittoria Crespo Morbio, Eugene Berman alla Scala, Grafiche Step editrice, Parma, 2016


Nel 1963 Berman sarà chiamato ad illustrare la copertina e alcune pagine interne del settimanale "Life Magazine", che nel gennaio di quello stesso anno aveva dato l'avvio ad una nuova serie dal titolo “The Miracle of Greece”, pubblicata in otto parti fino al mese di luglio di quello stesso anno. L'artista si occuperà della II parte intitolata MYTHS, GODS, HEROES, una delle poche illustrate da disegni in luogo delle fotografie, usate invece per la maggior parte dei numeri della serie.
Nel disegno di Berman le sirene uccello appaiono in lontananza, all'estrema destra del foglio, due di esse volteggiano nel cielo, l'altra poco distante, con le ali spiegate è atterrata su uno dei due scogli che emergono dalle calme acque dell'isola.
Le sirene - pesce sono invece disposte nella parte bassa del foglio, formando un triangolo rovesciato, in alto sono le due sirene in atto di afferrare i remi della nave, mentre in basso, al vertice, è la terza sirena, posta sopra uno scoglio che affiora appena dal mare. Quest'ultima ci volge le spalle, intenta a guardare, come lo spettatore in un teatro, l'arrivo di Ulisse e i suoi compagni a bordo della nave, ai cui lati della prua sono gli occhi apotropaici.
Ulisse in alto, al centro della composizione, è il protagonista della scena, rappresentato in piedi, saldamente legato all'albero della nave e lo sguardo dritto dinanzi a se. Dietro di lui, come un sipario innalzato sul palcoscenico, sono le vele dell'imbarcazione, rese a brandelli dalle numerose avventure passate…



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Achille Capizzano (Rende 1907 - Roma 1951)


Il Mar Mediterraneo, 1936 - 1938
Bozzetti per la pavimentazione a mosaico di Piazzale dell'Impero al Foro Italico
China su carta applicata su tela, cm. 93,5 x 60


Pubblicazioni:
Vincenzo Perugini, Achille Capizzano pittore, Cosenza, Luigi Pellegrini editore, 1966, tav. V bis; Andrea Romoli, Ieri: Gino Severini e Achille Capizzano, Mosaici a Roma: ieri e oggi, in Terzoocchio, 24.1998 p. 10


Bibliografia:
E42 – EUR. Segno e sogno del ‘900, catalogo della mostra a Palazzo degli Uffici – Salone delle Fontane (1-30 aprile 2005), a c. di Carlo Fabrizio Carli, Gianni Mercurio, Luigi Prisco, Roma, Eur spa, 2005; Francesca Coiro Cecchini, L’architettura del Ventennio a Roma, Roma Edilazio, 2001; Carlo Bertilaccio e Francesco Innamorati, EUR Spa. E42 heritage, Roma, Palombi editore, 2005; Vieri Quilici, EUR. Una moderna città di fondazione, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2015; Esposizione Universale Roma. Una città nuova dal fascismo agli anni ’60, catalogo della mostra al Museo dell’Ara Pacis (12 marzo – 14 giugno 2015), a c. di Vittorio Vidotto, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2015


I cinque bozzetti in esame furono disegnati da Achille Capizzano tra il 1936 e il 1938 per la messa in opera di alcune delle scene della vasta decorazione a mosaico della pavimentazione del Piazzale dell’Impero a Roma. Si tratta di un'ampia area destinata alle discipline sportive e alle manifestazioni celebrative del Regime Fascista, il cui programma iconografico a cui l'artista dovette attenersi è ispirato ai personaggi e ai temi dell'antica Roma: La Fondazione di Roma, Lotta di cavalieri antichi, Vittorie, Il Mar Mediterraneo. L'opera di Capizzano riguarda solo una parte della più vasta area del Piazzale, ben 7.500 metri quadri! Nel progetto furono coinvolti oltre ad Achille Capizzano, già collaboratore collaudato dell'architetto Luigi Moretti, che nel 1936 era subentrato alla direzione dei lavori a Enrico del Debbio (1895 – 1973), anche Luigi Severini (1883 - 1966), Angelo Canevari e Giulio Rosso (1897 – 1976), che si cimentarono nella rappresentazione di altrettanti temi ed accadimenti storici atti ad esaltare il regime fascista e la sua presa del potere, la conquista dell’Etiopia, l’operosità degli italiani, le arti, l’educazione fisica e le attività sportive.
Alla messa in opera della vasta area musiva vi lavorarono ben 200 mosaicisti della Scuola Mosaicisti del Friuli di Spilimbergo nel 1937.


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Maria Morino Savinio (Roma 1899 – Fiesole 1983)


Orfeo vedovo, 1952 – 1954
Ricamo, cm 51 x 40,5
Firmato in basso a destra «Maria Savinio»
Provenienza: Milano, eredi Fabrizio Clerici


Bibliografia:
R. Siviero, Maria Savinio, Ricami da dipinti di De Chirico e Savinio, Galleria dell’Obelisco, Roma, 1954


I tre arazzi in esame furono realizzati da Maria Morino, moglie di Alberto Savinio, sulla base di tre noti dipinti dell’artista: "Torna la dea nel tempio" del 1944, "Centaurina" del 1950 e "Orfeo vedovo", anch’esso del 1950. Tre soggetti della mitologia greca, che il genio multiforme dell’artista aveva rappresentato attraverso l’immagine di una dea Atena con testa di civetta, di un centauro femminilizzato e di un Orfeo che al posto della testa ha una cetra, titolo e soggetto quest’ultimo dell’omonima sua piece teatrale rappresentata a Roma il 24 ottobre 1950 al teatro Eliseo e interpretata dal baritono Michele Barriello. I tre ricami in esame furono invece comprati da Fabrizio Clerici, che di Alberto Savinio fu amico e sodale di quelle passeggiate milanesi descritte e racchiuse nel volume "Ascolto il tuo cuore, città"…



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Maria Morino Savinio (Roma 1899 – Fiesole 1983)


La centaurina, 1952-1954
Ricamo, cm 40 x 30
Firmato in basso a sinistra «Maria Savinio»
Provenienza: Milano, eredi Fabrizio Clerici


Bibliografia:
R. Siviero, Maria Savinio, Ricami da dipinti di De Chirico e Savinio, Galleria dell’Obelisco, Roma, 1954


I tre arazzi in esame furono realizzati da Maria Morino, moglie di Alberto Savinio, sulla base di tre noti dipinti dell’artista: "Torna la dea nel tempio" del 1944, "Centaurina" del 1950 e "Orfeo vedovo", anch’esso del 1950. Tre soggetti della mitologia greca, che il genio multiforme dell’artista aveva rappresentato attraverso l’immagine di una dea Atena con testa di civetta, di un centauro femminilizzato e di un Orfeo che al posto della testa ha una cetra, titolo e soggetto quest’ultimo dell’omonima sua piece teatrale rappresentata a Roma il 24 ottobre 1950 al teatro Eliseo e interpretata dal baritono Michele Barriello. I tre ricami in esame furono invece comprati da Fabrizio Clerici, che di Alberto Savinio fu amico e sodale di quelle passeggiate milanesi descritte e racchiuse nel volume "Ascolto il tuo cuore, città"…



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Maria Morino Savinio (Roma 1899 – Fiesole 1983)


Torna la dea nel suo tempio, 1952-1954
Ricamo, cm 51 x 40,5
Firmato in basso a sinistra «Maria Savinio»
Provenienza: Milano, eredi Fabrizio Clerici


Bibliografia:
R. Siviero, Maria Savinio, Ricami da dipinti di De Chirico e Savinio, Galleria dell’Obelisco, Roma, 1954


I tre arazzi in esame furono realizzati da Maria Morino, moglie di Alberto Savinio, sulla base di tre noti dipinti dell’artista: "Torna la dea nel tempio" del 1944, "Centaurina" del 1950 e "Orfeo vedovo", anch’esso del 1950. Tre soggetti della mitologia greca, che il genio multiforme dell’artista aveva rappresentato attraverso l’immagine di una dea Atena con testa di civetta, di un centauro femminilizzato e di un Orfeo che al posto della testa ha una cetra, titolo e soggetto quest’ultimo dell’omonima sua piece teatrale rappresentata a Roma il 24 ottobre 1950 al teatro Eliseo e interpretata dal baritono Michele Barriello. I tre ricami in esame furono invece comprati da Fabrizio Clerici, che di Alberto Savinio fu amico e sodale di quelle passeggiate milanesi descritte e racchiuse nel volume "Ascolto il tuo cuore, città"…



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Libero Andreotti (Pescia 1875 – Firenze 1933)


L’Ulivo, 1911
Bronzo, cm 70,5 x 52,5
Datata e firmata: 1911 / L. Andreotti



Il bassorilievo de L’Ulivo fu esposto per la prima volta a Parigi nell’aprile del 1911, insieme alla sua controparte La Quercia – già nella collezione degli eredi dello scultore a Pisa – alla personale di Libero Andreotti organizzata presso la galleria Bernheim Jeune. Il contratto stipulato con la galleria il 19 ottobre del 1910, fissava la durata della mostra in due settimane – dal 18 aprile al l maggio seguenti – in cui l’artista avrebbe devoluto il 10% delle eventuali vendite sulle 51 opere esposte, tra cui spiccavano appunto i due bassorilievi. Fatta eccezione per due fotografie antiche conservate presso l’archivio della gipsoteca «Libero Andreotti» di Pescia, non sono state ad oggi rintracciate informazioni sulle due opere nella corrispondenza e nelle altre carte dell’artista: in passato, questo ha lasciato spazio a congetture e interpretazioni sui significati dei soggetti rappresentati, come quello che riferirebbe l’albero d’ulivo e la quercia alle due anime – rispettivamente mediterranea e celtica – della Francia, nazione d’adozione dello scultore. Seppure banalmente, in realtà, i soggetti potrebbero semplicemente riferirsi al valore sacro attribuito ai due arbusti dalla mitologia antica, inserendosi lungo tutto un filone classico che caratterizza buona parte della produzione andreottiana del primo decennio e mezzo del secolo...



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Anonimo


Ritratto di Enrico Corradini
cm 29 x 21 x 21



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Duilio Cambellotti (Roma 1876 – 1960)


Serie di otto medaglie, anni ’50


Cambellotti popola la medaglia di tutti i temi virgiliani che costituiscono la sua fonte privilegiata di ispirazione, e li colloca secondo una sorta di horror vacui per piani successivi, partendo dal basso: il vomere che si imbatte in un serpente, pecore, buoi e cavalli in sequenza verso l’alto a incorniciare e sostenere la figura mitologica della dea arcaica Pales che viene rappresentata a viso aperto, sorridente e con il palmo della mano destra aperto, quasi in atteggiamento di orante. Del soggetto è presente la versione in gesso e quella in bronzo, firmata con le iniziali «CD» e con la Spiga. Pales era la dea della pastorizia e tutelava il confine tra terre arate e pascolo...



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Mirko Basaldella (1910 – 1969)


Il Serpente di Bronzo, 1940
Bronzo, cm 28 x 41


L'opera bronzea di Mirko Basaldella, giovane “creato” di Cagli, allievo a lui succube tanto nello stile e nella vita affettiva, diventa una riflessione sul tema del biblico Serpente di Bronzo: anche qui corpi adolescenti e serpenti si torcono, in una visione che è fantasia erotica e tortura infernale ad un tempo, eseguita in bronzo, in bassissimo rilievo, ispirato allo “stiacciato” rinascimentale di Donatello.



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Bruno Innocenti (Firenze 1906 – 1986)


Venerina, 1929
Bronzo, fusione a cera persa, patina nera


Bibliografia
Marco Fagioli, Renzo Gamucci (a cura di), Bruno Innocenti Scultore, schede di Sara Meloni e Chiara Stefani, Aión, Firenze 2011, pp. 150-51, n. 43.


Il bronzetto Venerina appartiene alla prima fase della scultura di Bruno Innocenti, in cui ancora si fa sentire l’influsso del suo maestro Libero Spartaco Andreotti del quale Innocenti, allievo prediletto, succederà alla cattedra di Scultura presso l’Istituto d’Arte di Firenze nel 1933, a seguito della morte del maestro.
Il modello del bronzetto, fuso in pochi esemplari, fu commissionato all’artista da un ricco collezionista americano come cimase di un calamaio in stile rinascimentale, modellato dallo stesso scultore e fuso in oro. Stilisticamente affine al gusto déco comune a quello di Andreotti negli stessi anni, ancora memore della lezione di Bourdelle ma ammorbidito dagli esempi ellenizzanti antichi, la Venerina appare molto vicina alle tre Sirene che sostengono il vaso della Coppa del Mare per l’Aereonautica del 1927...



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Bruno Innocenti (Firenze 1906 – 1986)


Nascita di Venere, 1938 ca.
Bassorilievo, fusione in bronzo a cera persa, patina naturale


Bibliografia
Marco Fagioli, Bruno Innocenti scultore tra mito e modernità, Aión, Firenze 2009, p. 26.


Il rilievo fa parte del gruppo di bassorilievi che via via Innocenti ha modellato spesso per committenze pubbliche, come i tre rilievi tondi realizzati per la Giornata dell’Aeronautica risalenti agli stessi anni, raffiguranti Icaro nudo che vola verso il sole con diversi motti latini come Aspera ad astra, poi usati per il conio delle medaglie commemorative della Regia Aviazione.
L’iconografia del rilievo non è semplice, essendo Innocenti un appassionato lettore delle fonti della mitologia classica e un attento osservatore degli “emblemata” così diffusi anche nella medaglistica rinascimentale.
Lo scultore possedeva nella sua biblioteca diversi libri di iconologia, tra cui quella del Ripa, ma più che legata a una figura dell’Iconologia questa Nascita di Venere sembra ispirarsi a una pittura a encausto di Pompei. Qui Venere è assisa sulla conchiglia e il Cupido alato non tende l’arco ma reca una ghirlanda. Il rilievo è un esempio di uno dei registri stilistici dello scultore, quello di un neo-ellenismo novecentesco.



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Achille Funi (Ferrara 1890 – Appiano Gentile 1972)


Il Parnaso, 1948-1953
Tempera e foglia oro su tavola, cm 212 x 476


Provenienze
Proprietà dell’artista (fino al 1972); Collezione Luigi Colombo, Carate Brianza (dal 1973 ai primi anni Novanta); Collezione privata, Milano (dai primi anni Novanta fino al 2018)


Esposizioni
Milano, Palazzo Reale, III Mostra Nazionale. Associazione Artisti d’Italia, autunno-inverno 1955-1956; Milano, Permanente, Achille Funi, 1973; Iseo, Palazzo dell’Arsenale, Chiesa di San Giovanni, Chiesa dei Disciplini, Achille Funi dal Futurismo alla maniera grande, 1987, poi Milano, Accademia di Brera, Sala Napoleonica, 1987-1988


Bibliografia
III Mostra Nazionale. Associazione Artisti d’Italia, catalogo della mostra (Palazzo Reale, Milano 1955-1956), Milano 1955, n. 1, pp. 159, 164-165; Achille Funi, a cura di R. de Grada, catalogo della mostra (Permanente, Milano, ottobre-dicembre 1973), Milano 1973, n. 79, p. 135; R. de Grada, Achille Funi, Milano 1974, nn. 124-125-126, pp. 67, 198-200; Achille Funi dal Futurismo alla maniera grande, a cura di R. de Grada, catalogo della mostra (Palazzo dell’Arsenale, Chiesa di San Giovanni, Chiesa dei Disciplini, Iseo, 12 settembre-15 novembre 1987, poi Accademia di Brera, Sala Napoleonica, Milano, dicembre 1987-gennaio 1988), Milano 1987, n. 63, pp. 98-99; La scuola di Funi, a cura di L. Somaini, Milano 1988, p. 22 (particolare); N. Colombo, Achille Funi. Catalogo ragionato dei dipinti, vol. II, Milano 1996, n. II.443, pp. 284-285; Funi 1890-1972. L’artista e Milano, a cura di E. Pontiggia, N. Colombo, Milano 2001, n. 67, pp. 150-151; Luigi Colombo 1921-2016. Un conoscitore e un mercante d’arte nella Milano del secondo Novecento, Atti del convegno (Milano, Accademia di Brera, 16 gennaio 2018), Genova 2018, p. 45.


La mitologia classica rappresentava per Funi una continua fonte di ispirazione sia nell’ambito della pittura da cavalletto che in quello della decorazione murale. La grande tavola qui in esame, appartenuta a Funi, appena terminata veniva installata alle pareti dell’aula dell’Accademia di Brera dove l’artista svolgeva le lezioni e in quella collocazione permaneva fino al 1972, anno della scomparsa del pittore. Nel 1973 il Parnaso era trasferito presso l’abitazione del segretario, esecutore testamentario e gallerista dell’artista, Luigi Colombo, per essere infine accolta, nei primi anni Novanta, in una singolare collezione milanese composta esclusivamente da numerosi saggi funiani. Per l’artista ferrarese, ai cui occhi non esisteva differenza tra storia e mito, tra episodi biblici e fatti della vita quotidiana, la pittura valeva come possibilità di dare forma concreta al sogno platonico di eterna bellezza e di superamento della caducità del tempo. Il tema rispondeva pienamente alla visione trasognata di Funi che, come l’amico Giorgio de Chirico, concepiva il ritorno all’antico quale capacità di rigenerazione e quindi di trasformazione e di evoluzione. Si trattava di concetti già tradotti in pittura da nobili precedenti, quali Poussin, Mengs, David, Appiani, Ingres; in particolare, oltre al sommo Raffaello, che aveva magnificato il Parnaso nella Stanza della Segnatura in Vaticano, anche Poussin, Mengs e Appiani si erano fatti cantori di quel divino consesso di Bellezza, rappresentato da Apollo e dalle Muse.



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Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961)


Figura, 1935 ca.
Matita e carboncino su cartone, cm 300 x 60


Provenienza:
collezione privata


Esposizioni:
Roma 1995, p. 31; Terni 1997, p. 58, ripr. p. 59


Bibliografia:
Mario Sironi. Figure plastiche 1919-1939, a cura di R. Miracco, catalogo della mostra Roma, Galleria Solarte 5 dicembre 1995 – 15 gennaio 1996, Roma 1995; Sironi. Il lavoro e l’arte, a cura di M. Margozzi, catalogo della mostra Terni, Centro Multimediale Videocentro (ex Officine Bosco), 16 marzo - 11 maggio 1997, Bergamo, Palazzo della Ragione e Accademia di Carrara, 10 luglio – 14 settembre 1997, Newton, Roma, 1997.


Nella scheda che venne dedicata a questa monumentale figura femminile, in occasione della mostra Sironi. Il lavoro e l’arte, non essendo riusciti ad individuare tra i grandi cicli realizzati da Mario Sironi negli anni Trenta, un personaggio cui legare direttamente il nostro disegno, si avanzò l’ipotesi che potesse essere la parte terminale destra di un più grande cartone smembrato, raffigurante una teoria di figure guerriere; a suggerire la connotazione militare sarebbe l’elmo che le coprirebbe il capo. Non riuscendo a vedere con tutta la buona volontà di questo mondo alcun copricapo in testa a questa gigantesca figura, è però più che probabile che la figura sia stata tagliata da un cartone più grande che però non conosciamo. Infatti, osservando le grandi opere monumentali che Sironi realizzò tra Bergamo, Roma, Milano e Venezia, non è stato trovato nessun personaggio che possa essere sovrapponibile a quello rappresentato sul cartone…



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Giulio Bargellini (Firenze 1875 - Roma 1936)


La Famiglia, 1926-1927
Cartone preparatorio per affresco
Matita e carboncino su carta da spolvero, cm 200,5 x 147



Realizzato fra il 1926 e il 1927 il cartone è preparatorio per tre figure della composizione allegorica ad affresco raffigurante La probità, eseguita da Bargellini a decoro dello scalone del Palazzo dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni di Roma (oggi sede dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America), progettato dall’architetto Ugo Giovannozzi, realizzato fra il 1923 e il 1927 e inaugurato il 30 ottobre 1927 da Mussolini, nell’ambito delle celebrazioni per l’anniversario della marcia su Roma.
Arricchita dall’iscrizione Labor cum probitate / otium cum dignitate (Il lavoro con onestà / l’ozio con dignità) la composizione raffigura un corteo aperto dalla giovane recante dei fiori che esce da un grande tempio sullo sfondo – che nell’architettura ricorda i propilei dell’Altare della Patria per il quale Bargellini aveva realizzato i mosaici del quadriportico – e riflette quanto l’artista aveva scritto in occasione del ciclo di affreschi per la Sala del Consiglio nel Palazzo della Banca d’Italia realizzati pochi anni prima (i primi progetti sono data 1921) dove ugualmente era presente un corteo di figure allegoriche recanti doni e fiori: “i cortei allegorici convergono a una culminante scena d’amore”...



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Achille Funi (Ferrara 1890 – Appiano Gentile 1972)


Venere latina (Nudo e sculture o Nudo), 1930
Olio su tela, cm 160 x 125
Firmato “A. Funi” e datato “1930” in basso a destra


Provenienza
Collezione De Rosa, Torino (fino al 1980); Collezione privata, Torino


Esposizioni
Venezia, XVII Biennale Internazionale d’arte, 1938, sala 19, n. 13; Milano, Galleria Milano, Achille Funi, 1931; Milano, Galleria Milano, 1931; Milano, Galleria Milano, Otto pittori moderni, 1932; Milano, Permanente, Achille Funi, 1973


Bibliografia
V. Costantini, Scultura e pittura italiana contemporanea, Milano 1940, p. 291; E. Lavagnino, L’arte moderna dai neoclassici ai contemporanei, Torino 1956, n. 104; Achille Funi, a cura di R. de Grada, catalogo della mostra (Permanente, Milano, ottobre - dicembre 1973), Milano 1973, n. 44, p. 100; R. de Grada, Achille Funi, Milano 1974, n. 87, p. 161; N. Colombo, Achille Funi. Catalogo ragionato dei dipinti, vol. II, Milano 1996, n. II.285, p. 185.


La Venere latina rinnova l’iconografia classica che mette in scena un tema mitologico entro un paesaggio classico, ideato dall’assemblaggio di elementi significativi del culto dell’antichità, ispirazione che trovava in Funi uno dei massimi cultori nel clima artistico del Ritorno all’ordine insieme a Giorgio de Chirico.
Protagonista del dipinto è l’immagine di Venere, dea romana, incarnazione della Bellezza e dell’Amore, antenata del popolo di Roma e divinità equivalente alla greca Afrodite. L’artista ferrarese era particolarmente legato a tale raffigurazione simbolica, al punto da conservare nel proprio studio la riproduzione a misura naturale di una copia della acefala Venere di Cirene, che aveva più volte raffigurato nelle proprie composizioni, come nel noto Publio Orazio uccide la sorella (1930-1932), conservato alla National Galerie, Staadtliche Museen di Berlino.
Nell’opera qui in esame, ritrovamento significativo in quanto assente da decenni dai circuiti collezionistici ed espositivi, la figura della divinità appare mediata da una diversa soluzione anatomica riferibile all’esempio della Venere dei Medici, statua ellenistica conservata alla Galleria degli Uffizi di Firenze, a differenza della quale Funi evita la schermatura pudica del pube e mantiene, accentuandola, la flessione del braccio destro verso l’alto e la posizione delle gambe modellate sul ritmo incrociato del canone policliteo.


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Mario Ceconi di Montecon (1893 – 1980)


Vaso per la conquista dell’Etiopia
Bronzo, cm 48 x 30 x 24


I due vasi di bronzo dalla patina volutamente archeologica dello scultore Mario Ceconi di Montececon sono due opere straordinarie e singolari. Ispirati certamente ai modi arcaizzanti e caricaturalmente divertiti di Arturo Martini (1889 – 1980), celebrano allegoricamente la Conquista dell’Etiopia del 1936, animando in uno una Lupa Romana che mette in fuga un Leone di Giuda della Dinastia Salomonica, e nell’altro un’Italia Armata trionfante sullo stesso disgraziato leone etiope sdraiato a gambe all’aria. Singolare che alle forme derivate dai bronzi archeologici l’artista scelga di sposare quelle naturali delle piante grasse del deserto, fornendo degli ibridi in cui la retorica trionfalistica imperiale fascista pare colorarsi di effetti comici...



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Patrick Alò (Roma 1975)


Console d’Iside, Retour d’Egypte, 2020
Materiale ferroso di recupero, cm 133 x 93 x 60




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Quirino Ruggeri
Busto di Bottai
cm 40 x 18 x 25



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Libero Andreotti (Pescia 1875 – Firenze 1933)


Veneretta, 1916
Bronzo, cm 48 x 17,5 x 17,5
Firmata e datata: S. L. Andreotti 1916


Pubblicazioni
Veneretta, scheda dell’opera a cura di S. Lucchesi, in Libero Andreotti, Antonio Maraini, Romano Dazzi. Gli anni di Dedalo, catalogo della mostra a cura di F. Antonacci e G.C. de Feo, Roma 2009, pp. 22-23.


Il gesso della piccola statuetta raffigurante una Venere al bagno, nota anche come Figura femminile, è conservato presso la Gipsoteca «Libero Andreotti» di Pescia dove esiste anche un secondo esemplare privo del drappo sulle gambe, pressoché identico nella posa della figura e nelle dimensioni e di cui non sono note fusioni in bronzo. Stilisticamente, la Veneretta è prossima ai modi dell’arte di Rodin, Maillol e Bourdelle a cui Andreotti fu maggiormente affine negli anni del suo soggiorno parigino: tale vicinanza è confermata dalla similitudine con le celebri Danzatrici realizzate a Parigi attorno al 1912, simili alla piccola scultura qui presentata nelle forme morbide e sinuose del corpo, e nella sintetica stilizzazione simbolista dei tratti del volto e della capigliatura...



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Libero Andreotti (Pescia 1875 – Firenze 1933)


Venere Fortuna (o La Fortuna), 1928-1931 ca.
Bronzo, cm 78 x 25
Firmata: SLA


La classica iconografia della nascita di Venere, raffigurata in piedi sulla conchiglia che solca le dolci onde marine, si arricchisce della beneaugurante vela smossa dal vento simbolo di fortuna. Si tratta di una delle opere più tarde di Libero Andreotti, caratterizzata anch’essa dalle forme allungate e longilinee tipiche della sua ultima produzione.
L’opera è da mettere in relazione anche ad altre a tema marino e mitologico ideate da Libero Andreotti sul finire del terzo decennio del secolo quando, in collaborazione con Gio Ponti, progettò e realizzò delle statue forse destinate a decorare il salone da pranzo della motonave Victoria di proprietà del Lloyd Triestino. Non è certo se tutto il gruppo di sirene e venerette che include La Fortuna – creato presumibilmente tra il 1928 e il 1931 e i cui gessi sono tutti conservati nella gipsoteca pesciatina – fosse stato concepito per la decorazione degli ambienti interni della lussuosa nave, dal momento che il contratto stipulato con la società proprietaria fa riferimento solamente alle due Sirene reggi lanterna come si vedono anche in una fotografia antica.



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Ferruccio Ferrazzi (Roma 1891 – Roma 1978)


Cerere, 1940
Tempera su carta foderata cm 300 x 140
In basso a destra: «Ferrazzi»


Provenienza
Collezione Vittorio Ballio Morpurgo, Roma; Santoro, Roma


Bibliografia
P. Rizzo, Ferrazzi Pittore romano, in «Quadrivio», Roma 4 maggio 1941; A. Dodi (A. Munõz?), Ferruccio Ferrazzi parla del suo «Mito di Roma» e del «Premio Cremona», in «Il Regime fascista», Roma 14 giugno, p. 3; A. Munõz, Il mito di Roma - Mosaico di Ferruccio Ferrazzi nella Piazza Augusto Imperatore, «L’Urbe» maggio 1941, pp. 28-29; Un’opera musiva di Ferruccio Ferrazzi, in «Lo stile. Numero speciale dedicato al vetro», Milano maggio-giugno 1941, pp. 101-103; Ferrazzi a Ojetti, in «Meridiano di Roma», Roma 22 marzo 1942, p. 1; B. Mantura, M. Quesada (mostra a cura di), Ferruccio Ferrazzi dal 1916 al 1946, De Luca Editore, Roma 1989, p. 120; A. Cambedda, M.G. Tolomeo, Una trasformazione urbana. Piazza Augusto Imperatore a Roma, Fratelli Palombi Editori, 1991, pp. 27-38; A. Cambedda, M.G. Tolomeo Speranza, L’apparato decorativo di Piazza Augusto Imperatore, in L. Cardilli (a cura di), Gli anni del Governatorato (1926-1944), Edizioni Kappa, 1995, pp. 157-160. S. Barisione, The Birth of Rome, The Wolfsonian-Florida International University, Miami Beach (USA) 2013.


Questi due cartoni di Ferruccio Ferrazzi, che raffigurano le divinità latine di Cerere e di Vulcano, provengono dalla collezione dell’architetto Vittorio Ballio Morpurgo e fanno parte degli studi per il monumentale mosaico Il mito di Roma sul prospetto frontale del palazzo dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale a Piazza Augusto Imperatore a Roma. Altri tre cartoni, tra cui la scena centrale del Tevere, sono conservati nella collezione di Mitchell Wolfson Jr. donata alla Florida International University di Miami Beach (Stati Uniti).
Tra il 1934 e il 1942 per ‘isolare’ la tomba del primo Imperatore romano, si mise in atto una delle più radicali demolizioni del tessuto urbano di Roma volute da Mussolini, deciso a portare avanti la propria politica imperialistica. Lo studio di questi due cartoni e della loro destinazione permette diaffrontare uno spaccato di un momento critico della cultura artistica italiana tra le due guerre, che intreccia vicende pubbliche con vicende personali.



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Mario Ceconi di Montecon (1893 – 1980)


Vaso per la conquista dell’Etiopia
Bronzo, cm 51 x 27 x 22


I due vasi di bronzo dalla patina volutamente archeologica dello scultore Mario Ceconi di Montececon sono due opere straordinarie e singolari. Ispirati certamente ai modi arcaizzanti e caricaturalmente divertiti di Arturo Martini (1889 – 1980), celebrano allegoricamente la Conquista dell’Etiopia del 1936, animando in uno una Lupa Romana che mette in fuga un Leone di Giuda della Dinastia Salomonica, e nell’altro un’Italia Armata trionfante sullo stesso disgraziato leone etiope sdraiato a gambe all’aria. Singolare che alle forme derivate dai bronzi archeologici l’artista scelga di sposare quelle naturali delle piante grasse del deserto, fornendo degli ibridi in cui la retorica trionfalistica imperiale fascista pare colorarsi di effetti comici...



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Ferruccio Ferrazzi (Roma 1891 – Roma 1978)


Vulcano, 1940
Tempera su carta foderata, cm 300 x 140
In basso a destra: «Ferrazzi»


Provenienza
Collezione Vittorio Ballio Morpurgo, Roma; Santoro, Roma


Bibliografia
P. Rizzo, Ferrazzi Pittore romano, in «Quadrivio», Roma 4 maggio 1941; A. Dodi (A. Munõz?), Ferruccio Ferrazzi parla del suo «Mito di Roma» e del «Premio Cremona», in «Il Regime fascista», Roma 14 giugno, p. 3; A. Munõz, Il mito di Roma - Mosaico di Ferruccio Ferrazzi nella Piazza Augusto Imperatore, «L’Urbe» maggio 1941, pp. 28-29; Un’opera musiva di Ferruccio Ferrazzi, in «Lo stile. Numero speciale dedicato al vetro», Milano maggio-giugno 1941, pp. 101-103; Ferrazzi a Ojetti, in «Meridiano di Roma», Roma 22 marzo 1942, p. 1; B. Mantura, M. Quesada (mostra a cura di), Ferruccio Ferrazzi dal 1916 al 1946, De Luca Editore, Roma 1989, p. 120; A. Cambedda, M.G. Tolomeo, Una trasformazione urbana. Piazza Augusto Imperatore a Roma, Fratelli Palombi Editori, 1991, pp. 27-38; A. Cambedda, M.G. Tolomeo Speranza, L’apparato decorativo di Piazza Augusto Imperatore, in L. Cardilli (a cura di), Gli anni del Governatorato (1926-1944), Edizioni Kappa, 1995, pp. 157-160. S. Barisione, The Birth of Rome, The Wolfsonian-Florida International University, Miami Beach (USA) 2013.


Questi due cartoni di Ferruccio Ferrazzi, che raffigurano le divinità latine di Cerere e di Vulcano, provengono dalla collezione dell’architetto Vittorio Ballio Morpurgo e fanno parte degli studi per il monumentale mosaico Il mito di Roma sul prospetto frontale del palazzo dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale a Piazza Augusto Imperatore a Roma. Altri tre cartoni, tra cui la scena centrale del Tevere, sono conservati nella collezione di Mitchell Wolfson Jr. donata alla Florida International University di Miami Beach (Stati Uniti).
Tra il 1934 e il 1942 per ‘isolare’ la tomba del primo Imperatore romano, si mise in atto una delle più radicali demolizioni del tessuto urbano di Roma volute da Mussolini, deciso a portare avanti la propria politica imperialistica. Lo studio di questi due cartoni e della loro destinazione permette diaffrontare uno spaccato di un momento critico della cultura artistica italiana tra le due guerre, che intreccia vicende pubbliche con vicende personali.



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Alberto Ziveri (Roma 1908-1990)


Minerva, 1940 circa
Pastello su carta, cm 377 x 200


Bibliografia
Scuole centrali dei servizi antincendi in Roma, in «Architettura», novembre 1941, pp. 407, 415-416, ill. b/n; Le Scuole centrali dei servizi antincendi, a cura del Ministero dell’Interno, Novissima, Roma 1943, pp. 29, 76, ill. b/n; M. Fagiolo dell’Arco, Alberto Ziveri, Le grandi monografie pittori d’oggi- collana diretta da E. Gribaudo, Fabbri Editori, Milano, 1988, n. 50, ill.b/n (regesto bibliografico, con pretesa di completezza fino al 1960, è a cura di F.R. Morelli).


Questo straordinario cartone, inedito, è realizzato da Alberto Ziveri intorno al 1940 per un mosaico destinato all’atrio dell’edificio principale del complesso delle Scuole Centrali dei Servizi Antincendi, edificato tra il 1940 e il 1941 nella zona del Capannelle presso Roma, su un’area di 65.000 metri quadrati. Nella seconda metà degli anni Trenta con una serie di regi decreti viene riorganizzato il corpo pompieristico e istituito il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, destinato alla protezione civile ma inquadrato militarmente per essere impiegato in operazioni di guerra.
La Minerva raffigurata da Ziveri sembra avere tutti gli attributi specifici della dea, le armi da guerriero, compresa l’egida con un clipeo raffigurante la testa di Medusa, che la protegge. Sul braccio destro il serpente arrotolato. Tra i piedi, è posato a terra l’elmo con il cimiero e una civetta, uccello notturno attributo della dea e simbolo della conoscenza razionale e della saggezza. Nei due pannelli laterali, sono raffigurati, in maniera semplificato, strumenti e invenzioni, tra cui il cannocchiale di Galileo, la rosa de venti, la sfera armillare, il carro falcato di Leonardo, gli specchi ustori di Archimede, un alambicco per la distillazione chimica, l’antenna impiegata da Marconi nella radiotelegrafia. In alto le sei personificazioni, sopra i due scomparti laterali, potrebbero essere le ninfe che la spiavano durante la sfida con Aracne per la tessitura di una tela illustrata.



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Adolfo De Carolis (Montefiore dell’Aso 1874 – Roma 1928)


Studio per La Primavera (Verba ad pictorem amatoris), 1903
Tecnica mista su carta applicata su tavoletta, cm 145 x 167


Pubblicazioni
Adolfo De Carolis e il Liberty nelle Marche, catalogo della mostra, a cura di R. Bossaglia, Milano, Mazzotta, 1999.


Bibliografia
Adolfo De Carolis e il Liberty nelle Marche, catalogo della mostra, a cura di R. Bossaglia, Milano, Mazzotta, 1999; Lettera di De Carolis a Fradeletto del 7 aprile 1903, edita in C. Prete, Adolfo de Carolis e la Biennale, “Notizie del Palazzo Albani, 20”, Urbino, Argalia Editore, 1991; E. Bardazzi, Adolfo de Carolis 1874 - 1928, un capolavoro ritrovato, un carteggio inedito, Roma, Galleria Campo de’ Fiori, 2001; Ortensio (E. Cecchi), Tre anime. (Per una mostra di pittura), “Leonardo”, 20 dicembre 1903; V. Pica, L’Arte Mondiale alla V Esposizione di Venezia, Bergamo, Istituto D’Arti Grafiche, 1903; F. Bücheler, A. Riese, Anthologia Latina sive poesis latinae, Lipsia, B.G. Teubneri, 1894, p. 97.


Si tratta del disegno preparatorio a dimensione reale del dipinto Primavera (Verba ad pictorem amatoris) realizzato a Firenze ed esposto alla Biennale di Venezia del 1903 nella Sala Toscana. Il titolo è tratto da un componimento poetico dell’Anthologia Latina (R. 23) “Parole di un innamorato
ad un pittore”, i cui primi versi De Carolis ricopiò lungo i quattro lati della cornice del dipinto. È plausibile che il suggerimento dei versi latini sia giunto a De Carolis da parte di Pascoli, noto latinista del suo tempo e vincitore per dodici volte del concorso di poesia latina di Amsterdam. Rispetto all’opera finita nel cartone è già possibile riconoscere il paesaggio della valle del Tevere, l’elegante fisionomia degli angeli con le trombe, colti in un ardito scorcio prospettico, e le fattezze della Primavera che ritrae il volto di Lina Ciucci, modella preferita e dal 1901 moglie dell’artista. Esiste un disegno di dimensioni notevolmente ridotte (cm 50 x 56,5), conservato nei depositi del Polo Museale di San Francesco a Montefiore dell’Aso, intitolato Primo Vere, in cui la Primavera interamente vestita è affiancata da figure angeliche in posizione eretta. I molti ripensamenti visibili nei tratti e la diversa impostazione dei corpi indicano che si tratta di un primo studio del soggetto.



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Libero Andreotti (Pescia 1875 – Firenze 1933)


La Vigne, 1909 ca.
Marmo di Candoglia, cm 68,5 x 36 x 30


Esposizioni
Salon d’Automne, Parigi, 1910


Bibliografia
C. Pizzorusso, S. Lucchesi, Libero Andreotti. Trent’anni di vita artistica. Lettere allo scultore, Firenze 1997, fig. 38; U. Ojetti, Lo scultore Libero Andreotti, in «Dedalo», I, vol. 2, 1920, p. 395.



Esposta al Salon d’Automne del 1910, Le Vigne veniva descritta da un cronista milanese come «una donna che porta, sulle spalle, un bambino: plasmata con un brio straordinario e con una sensazione di vita, così evidente e distinta da costituire un vero gioiello di fattura e di movimento». L’utilizzo del marmo di Candoglia – lo stesso usato per la realizzazione del Duomo di Milano – sembra legare l’opera all’ambiente lombardo e, di conseguenza, al soggiorno milanese di Libero Andreotti che avrebbe scolpito la sua baccante in pietra entro il settembre del 1909 quando partiva alla volta della Francia. Rimasta a Milano la statua faceva perdere le sue tracce, ma si conservava intatta nella memoria del suo artista che proponeva la piccola variante di bronzo – ad oggi perduta – al Salon d’Automne del 1910 e ancora a Nantes nel 1912.



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Duilio Cambellotti (Roma 1876-1960)


La corazza, 1918-1919
Bronzo, h cm 43 (h base cm 20)


Bibliografia
F. Sapori, Artisti contemporanei: Duilio Cambellotti, in «Emporium», XLIX, 290, febbraio 1919, p. 85; R. P., Industrie artistiche italiane, in «Emporium», LIII, 314, febbraio 1921, pp. 107 e 110; G. Zucca, Un decoratore nostro. Duilio Cambellotti in «Architettura e Arti Decorative», 2, luglio-agosto 1921, pp. 165, 166 e 170; Cambellotti scultore, catalogo della mostra di Matera, a cura di G. Appella e M. Quesada, Roma 1991, n. 59.


Della scultura poi nota come La corazza, il primo a scriverne fu Francesco Sapori in un lungo articolo su Cambellotti pubblicato nella rivista «Emporium» del febbraio 1919. Assieme ad un bozzetto preparatorio del Buttero a cavallo, viene infatti menzionato, con altre sculture «maschie, sintetiche, verticali», «un Guerriero dalle mani nervose che premono fieramente l’impugnatura della spada». Dove Sapori vedesse la spada non si sa, né se già la scultura fosse ancora nello stadio di modello in cera o gesso. Il bronzo, con il modello in gesso, fu esposto per certo nella Bottega Italiana di Maria Monaci Gallenga, a via Veneto, nel 1921, assieme a opere di Alberto Gerardi e Vittorio Zecchin.
Il personaggio qui rappresentato è per Cambellotti l’agricoltore-guerriero italico del tempo delle origini di Roma, il miles agricola che egli disegnò nel 1916 intento ad allacciarsi il corsale vicino ai campi arati, la vanga appena abbandonata per afferrare due lance. Il soldato che combatte per difendere la terra che egli lavora, non è solo una figura della retorica patriottica, ma un’idea politica ben presente nell’Italia del dopo Caporetto, in cui la promessa di future riforme agricole fu usata per motivare le masse contadine impegnate al fronte...



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Patrick Alò (Roma 1975)


Laocoonte, 2013
Materiale ferroso di recupero, cm 180 x 100 x 100



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Patrick Alò (Roma 1975)


Sfinge, 2010
Materiale ferroso di recupero, cm 106 x 67 x 30



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Patrick Alò (Roma 1975)


Apollo del Belvedere, 2019
Materiale ferroso di recupero, cm 95 x 30 x 40



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Patrick Alò (Roma 1975)


Testa di cavallo, 2018
Materiale ferroso di recupero, cm 83 x 83 x 50



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Patrick Alò (Roma 1975)


Lupa, 2015
Materiale ferroso di recupero, cm 110 x 90 x 40



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Patrick Alò (Roma 1975)


Dedalo, 2016
Materiale ferroso di recupero, cm 60 x 54 x 37



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Patrick Alò (Roma 1975)


Testa di cavallo
Materiale ferroso di recupero,



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Patrick Alò (Roma 1975)


Prometeo, 2020
Materiale ferroso di recupero, cm 118 x 50 x 36



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Patrick Alò (Roma 1975)


Colonne, 2019
Materiale ferroso di recupero, cm 273 x 38 x 38



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LO ZUAVO E I BERSAGLIERI
UNA MOSTRA "STORICA" ALLA GALLERIA W.APOLLONI
DI ROMA IN VIA MARGUTTA 53B
A cura di Marco Fabiano Apolloni
Galleria W.Apolloni


INFO:
Dove: Galleria W. Apolloni, Via Margutta 53B
Quando: Dal 20 settembre al 20 ottobre 2020
Dal lunedì al sabato dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00, salvo il lunedì mattina e il sabato pomeriggio.
Visite su prenotazione
Sito Internet: www.laocoontegalleria.it
www.galleriawapolloni.i



Seguendo gli stessi criteri che portarono ad allestire nel 2007 la mostra “Garibaldi a Roma!”, collezione di dipinti, disegni e stampe riguardanti la Repubblica Romana del 1848-49 – il cui nucleo maggiore è esposto ora in comodato provvisorio al Museo di Roma di Palazzo Braschi – la Galleria W.Apolloni prosegue la propria opera di scoperta e valorizzazione della storia nazionale per ciò che riguarda la propria competenza storico-artistica. Dal 20 settembre 2020, a celebrare il 150° anniversario della presa di Porta Pia da parte dei Bersaglieri del generale Raffaele Cadorna, nella Galleria W.Apolloni di Via Margutta 53B verrà allestita una mostra straordinaria con alcune opere d’arte di somma importanza accomunate dall’eloquente titolo: “Lo Zuavo e i Bersaglieri”, a voler accomunare, dopo tanto tempo trascorso, spente le passioni e gli odii d’allora, gli avversari di un tempo in un unico sentimento di pietà e gratitudine.
La memoria degli zuavi pontifici, corpi volontari giunti da tutti i paesi cattolici, ma in maggioranza francesi, olandesi e belgi, a difendere Pio IX contro gli italiani, è rappresentata dalla presenza di una scultura funebre in marmo a grandezza naturale del capitano Augustin Latimier Du Clésieux (Saint-Brieuc, Bretagna, 1844-1871), zuavo a Roma e poi volontario nella guerra franco-prussiana, ferito mortalmente nella battaglia dell’altipiano di Auvours l’11 gennaio 1871 e morto il 26 febbraio seguente a casa propria, in Bretagna, a soli 27 anni. L’opera si deve al virtuosistico scalpello dello scultore Victor Edmond Leharivel Durocher (Chanu, Orne, 1816-1878), scultore ufficiale che nel Secondo Impero collaborò con l’architetto Louis Visconti – figlio dell’archeologo romano Ennio Quirino – ad ornare l’ingrandimento del Louvre voluto da Napoleone III. Augustin Du Clésieux era l’unico figlio di una famiglia bretone molto ricca e da poco nobilitata. Da parte di padre discendeva da un Reggente della Banca di Francia, da parte di madre da una famiglia di importanti armatori locali. L’inconsolabile contessa Du Clésieux sua madre, che gli sopravvisse per 16 anni, ordinò all’artista la scultura, firmata e datata 1873, che fu posta sopra la tomba del defunto nella cripta di una cappella neoromanica, dedicata a S.Agostino, fatta costruire adiacente alla Scuola dei Fratelli della Dottrina Cristiana nella rue Vicaire della città di Saint-Brieuc. Nazionalizzata la scuola sotto la Terza Repubblica, distrutta la cappella nel 1971 per fare posto ad un parcheggio, chissà dove tumulate le ossa del povero Augustin, la monumentale scultura è andata all’asta a Brest quattro anni fa, nel più totale disinteresse dei locali e delle autorità preposte alla tutela artistica di Francia. E’ stata acquistata dall’antiquario romano Marco Fabio Apolloni proprio perché il giovane e nobile zuavo, già venuto a difendere papa Mastai contro “L’Anticristo” Garibaldi, tornasse a Roma per trovarvi, si spera, una pace definitiva. Il giovane ufficiale è rappresentato ancora vivo semisdraiato su una chaise-longue neo-rococò, nell’uniforme tipica che traeva origine dall’abbigliamento dei guerrieri algerini che i francesi combatterono nel 1830, e che fu reso famoso dalle seguenti campagne militari in Crimea e in Italia durante la Seconda Guerra d’Indipendenza. Solo il colore grigio celeste, che il marmo non può rendere, distingueva gli zuavi pontifici da quelli inquadrati nell’esercito francese. Per il resto lo scalpello di Leharivel è riuscito a descrivere il ruvido panno dell’uniforme, i pantaloni a sbuffo, il kepì con visiera, le babbucce ricamate e persino i merletti della camicia da cui spunta lo scapolare che il milite cattolico portava al collo. Sul fronte della base è graffita una baionetta, al centro della quale risalta in bassissimo rilievo la medaglia al valore che fu consegnata il giorno del funerale. “E’ proprio un’idea da Francesi, di vestire i difensori del Santo Padre da maomettani”. Così dicevano, i romani dell’epoca a proposito della bizzaria dell’uniforme degli zuavi che, non erano però soldati da operetta, se si considera che il pur brevissimo fatto d’arme di Porta Pia costò agli italiani il doppio dei morti e dei feriti rispetto ai pontifici.
Corpi nuovi, creati più o meno negli stessi anni, Zuavi e Bersaglieri avevano combattuto fianco a fianco in Crimea e nelle battaglie del ’59. Eppure nel ’70, sono affrontati gli uni agli altri in perfetta antinomia, pontifici contro italiani: così, in mostra, alla splendida, candida scultura dello zuavo francese morente si contrappongono i colori squillanti, accesi dal sole di settembre, che Michele Cammarano (Napoli 1835-1920), testimone oculare dell’entrata degli italiani a Roma, ha sparso in battaglia su una tela alta più di tre metri, fissando ancora calde, se così si può dire, le impressioni della battaglia per conquistare all’Italia la sua Capitale. Noto, pubblicato su tutti i libri di storia è il quadro di Cammarano che raffigura i Bersaglieri a passo di carica, lungo più di quattro metri, conservato al Museo di Capodimonte. Questo però, esposto e poi acquistato, è del 1871, frutto di ripensamenti e meditazioni,per celebrare la presa di Roma nel modo più eroico e storicamente più gratificante. Quello che si mostra ora invece è stato dipinto un anno prima, immediatamente dopo la Presa di Porta Pia, mostrata in tutt’altro modo, più veritiero, nel modo confuso e rabbioso con cui veramente avvenivano i fatti d’armi. I Bersaglieri si arrampicano concitati sul terrapieno formato dai detriti delle mura bombardate, confusi nel fumo dell’artiglieria. Le fisionomie sono stravolte, le bocche urlanti, le uniformi strapazzate e infarinate dai calcinacci. Un trombettiere giace a terra morto, un baffuto maggiore ci guarda direttamente negli occhi e con lo sguardo, col gesto, con la voce – vediamo che urla anche se non lo sentiamo – sembra spronarci a partecipare all’attacco.
Molto diverso è il quadretto del fiammingo Carel Max Quaedvlieg (Valkenburg 1823 – Roma 1874), minuscolo in confronto al Cammarano, ma che entro il suo perimetro di tredici per venti centimetri, riesce a inquadrare le Mura Aureliane e la breccia formicolante di Bersaglieri, con la morte del comandante Giacomo Pagliari sull’avanscena, e gli zuavi che sparano sullo sfondo di questa visione teatrale della Breccia, estremo opposto dei vasti “panorami” che andavano di moda in questo periodo. Vissuto a Roma per ventun anni, Quaedvlieg è noto per i suoi paesaggi della campagna romana animati da contadini e da butteri, eseguiti con lenticolare precisione, generalmente su rame, con colori luminosissimi. Questo di Porta Pia è un “unicum”, un documento storico figurativo di inestimabile valore, che fu infatti acquistato all’asta da Fabrizio Apolloni alla fine degli anni ottanta al termine di un accanito duello con un misterioso “underbidder” al telefono che si rivelò poi essere il compiato Bettino Craxi, molto attento alle memorie garibaldine e risorgimentali. Completano questa mostra celebrativa il bozzetto in scultura di Publio Morbiducci (Roma, 1889-1963) per il monumento al Bersagliere eretto davanti a Porta Pia nel 1932 e due pastelli satirici che ritraggono Charrette comandante degli Zuavi pontifici e Mons. Pacca il giovane, Prefetto pontificio. Due ritratti del Cardinale Giacomo Antonelli, uno in marmo che lo raffigura giovane, di Giuseppe De Fabris, ed uno dipinto in miniatura a smalto su pietra lavica da Filippo Severati – inventore della tecnica che andò perduta alla sua morte – che lo ritrae in trono nella sua piena dignità di Segretario di Stato, eminenza grigia e anima nera dell’ultimo Pio IX.
La mostra si aprirà domenica 20 settembre 2020, ma non ci sarà un’inaugurazione. L’ingresso è consentito a piccoli gruppi su prenotazione o, compatibilmente, a richiesta, durante gli orari di apertura della galleria 10-13, 16-19 salvo lunedì mattina e sabato pomeriggio. Per l’occasione verrà pubblicato un pieghevole e la mostra sarà messa online sul sito della galleria.
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Galileo Chini (Firenze 1837 – 1956)


Spade
Matita e china su carta, cm 140,5 x 58


Si tratta dello studio preparatorio per la Spada d’onore di S.E. il Generale Conte Guglielmo Pecori-Giraldi, uno dei maggiori esponenti dell’esercito italiano tra fine Ottocento e i primi decenni del Novecento. Nel 1923 egli fu eletto vice presidente del Consiglio dell’esercito, dopo aver preso parte alla campagna d’Africa Orientale, alla guerra italo-turca e alla prima guerra mondiale, dove ebbe ruoli primari; nel 1919 fu nominato Senatore del Regno.
Di nobile famiglia fiorentina, con radici nel Mugello (come Galileo Chini), nel 1923 si fece realizzare dallo scultore Guido Calori la spada, su disegno di Chini, che appena terminata fu esposta alla Seconda Biennale Romana del 1923 (sala 9, n. 2, p. 42). Questo disegno è la prima idea di pugno di Galileo Chini, con alcune varianti, della spada...



Per la scheda completa consultare il catalogo '900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
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Duilio Cambellotti (Roma 1876 – 1960)


Le Eumenidi
Bozzetto per il manifesto de Le Eumenidi di Eschilo (Siracusa 1948), 1948
Tempera su carta, cm 70,3 x 74
Archivio Cambellotti, n.6884


Bibliografia:
Duilio Cambellotti dal Palatino al Parnaso. Le Romanae Fabulae e l’Epos greco, catalogo della mostra di Lugano presso la Galleria Sperone Westwater, a cura di F. Parisi, Roma 2013, n. 32, pp. 94-95.


Nel 1948 venne portata in scena a Siracusa l’Orestea di Eschilo, trilogia composta da Agamennone,
Coefore e Eumenidi, la cui traduzione fu curata di Manara Valgimigli e musicata da Gian Francesco Malipiero. Cambellotti provvide alle scene, ai costumi e, come di consuetudine, al manifesto. L’artista realizzò per quest’ultimo due grandi tempere come modello per i litografi dello Stabilimento di Arti Grafiche I.G.A.P. di Roma incaricati della realizzazione a stampa. La scena scelta per rappresentare la trilogia è la visione iniziale delle Eumenidi, narrata dalla Pizia: Oreste appoggia i rami di ulivo fasciati di bende di lana, attributo rituale del supplice, sul cippo dell’Omphalos delfico, mitico centro della terra, implorando la benevolenza di Apollo. Sulle scale dell’Omphalos le Erinni, personificazioni della vendetta, giacciono addormentate.
L’opera in esame è la prima idea del manifesto ed include la figura della madre di Oreste, Clitemnestra, ancora sanguinante accanto al figlio lordo del suo sangue. La figura di Oreste è nuda e rannicchiata e richiama la posizione l’Aiace del manifesto del 1939, sebbene filtrata attraverso una maggiore stilizzazione. Nella successiva versione a tempera, pubblicata da chi scrive e da cui sarà tratto il manifesto, Cambellotti tolse la figura di Clitemnestra, aggiunse i dettagli a mattoni della scalinata e cambiò il colore dei serpenti sulle teste delle Erinni che saranno realizzati con un colore nero.



Per la scheda completa consultare il catalogo '900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
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Duilio Cambellotti (Roma 1876 – 1960)


Punizione del Prefetto di Roma / L'incoronazione di Ottone II dalla Storia della città di Roma nel Medioevo di Gregorovius, 1948-50
Termpera su carta, cm 36 x 99,4
Archivio Cambellotti, n.519


Pietro prefetto di Roma, colpevole di aver congiurato con altri nobili romani contro il papa Giovanni XIII che fu da loro costretto a fuggire a Capua, venne appeso per i capelli al caballus Costantini – tale veniva creduta la statua equestre di Marco Aurelio – quando il papa venne reinsediato a Roma dall’Imperatore Ottone I. In seguito fu portato in giro per la città con un otre piumato in testa in groppa ad un somaro cavalcato alla rovescia. Infine fu spedito prigioniero in Germania. Ciò avveniva nel 966, mentre l’incoronazione di Ottone II come co-reggente dell’Impero, voluta dal padre Ottone I, ebbe luogo nel Natale del 967. Cambellotti unifica i due episodi, rendendo protagonista la gigantesca statua dello stoico imperatore pagano e raffigura il disgraziato prefetto come un dannato dantesco.
Tra la fine degli anni ’40 e i primi ’50 l'artista lavorò intensamente ad illustrare la Storia della città di Roma nel Medioevo, componendo decine e decine di vignette sui singoli papi poi riprodotte ad eliotipia, ritoccate e legate in taccuini.
Il gusto di Cambellotti per le scene orrifiche o sensazionali unisce il filone tragico della sua arte con il favoloso, visionaria ed eccezionale è la “ricostruzione” della diroccata Roma medioevale in cui il lancinante senso di perdita per i monumenti dell’Urbe antica è tutt’uno con lo spirito del pittoresco e la ricerca storico-topografica...



Per la scheda completa consultare il catalogo '900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
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Corrado Cagli (Ancona 1910 – Roma 1976)


Laocoonte, 1938
Olio su carta, cm 32,5 x 25
Firmato in basso a sinistra: "Cagli"


Provenienza:
Mirko Basaldella


Pubblicazioni:
E. Crispolti, G. Marchiori, Corrado Cagli, Edizioni d’arte Pozzo, Torino 1964, p. 21, ill.; Cagli. Opera grafica, Rizzoli, Milano, 1968, n. 29, ill. (scritto critico di A. Gatto); Opere grafiche di Cagli, catalogo mostra, Livorno 1969, p. 32, ill.; E. Mercuri, Cagli. Dalla pittura all’Arazzo, Savelli editore, Roma 1973, ill.; I tempi di Cagli, catalogo mostra a cura E. Crispolti e M. Crescentini, Ancona, Edigrafica Aldina, Roma 1980, D/16, ill.; Il Cagli romano, catalogo mostra a cura di E. Crispolti, Siena, Electa, 1985, n. 65, ill.; Cagli. Miti a Taormina 1931-76, catalogo mostra, a cura di A. Calabrese, Taormina, Il Fiorino, Firenze 1986, n. 35, ill. (schede di F. Briguglio); Cagli. Immaginare la libertà, catalogo mostra a cura di I. Reale, Udine, Grafiche Il Fiorino, Firenze 1989, p. 54, ill.



La data di esecuzione del disegno, 1938, non apposta da Corrado Cagli sull’opera, appare invece nel volume monografico curato, nel 1964, da Enrico Crispolti e Giuseppe Marchiori, dove è pubblicato anche Laocoonte. Cagli ha seguito la realizzazione del progetto editoriale destinato a una collana di Ezio Gribaudo, come riferisce l’Archivio Cagli (Roma). L’artista non può essere stato approssimativo nella datazione dell’opera, perché il 1938 costituisce la fine di un periodo importante della sua vita e l’inizio di uno nuovo, a causa di quello che accadde in Italia con la campagna antisemita. Il soggetto classico del disegno è il drammatico traslato di quegli eventi storici: Cagli come Laocoonte è una vittima innocente di un destino irrevocabile.
Il disegno è realizzato con una tecnica molto usata da Cagli in questa prima della sua ricerca, nota anche come monotipo. Cagli prepara un foglio con il colore a olio, in genere il nero, quando è asciutto vi appoggia sopra un foglio bianco. Con la pressione di una punta metallica o di una matita esegue il disegno. La mano, più che scorrere libera sulla carta, è governata da un’idea mentale, una visione interiore, alla quale la superficie del foglio fa da schermo. Nel Laocoonte, Cagli delinea le tre figure unite nella composizione, ma ognuna presa dalla lotta drammatica contro i serpenti sembra la manifestazione di tre stati psicologici diversi: il figlio sullo sfondo, in ginocchio e con le braccia alzate verso l’alto, si è ormai arreso alla sua fine, nella stessa posizione è anche l’anziano saggio, che tuttavia riesce ancora a dominare l’animale, infine il figlio in primo piano è seduto a terra, il volto e il sesso sollevati, e il corpo libero dalle spire...



Per la scheda completa consultare il catalogo '900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
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Zeffirino Falcioni (1817-1880)


Monsignor Bartolomeo Pacca il giovane (1817-1880) Prefetto della casa pontificia
Pastelli su carta, cm. 43,5 x 29



Queste sono solo due tavole originali dei disegni preparatori per un’opera che si chiamava I nuovi crociati. Era una raccolta di caricature del fronte papalino, opera di uno strano personaggio che si chiamava Zefferino Falcioni, un prete spretato, che divenne massone e materialista e che nel '70 stava nella Parigi della Comune. È un’opera che è uscita a riproduzioni fotografiche nel 1871. Uno riproduce Charrette, capo degli zuavi pontifici, e quello che è effigiato come una mongolfiera, “monsignor Pallone”, è monsignor Pacca, nipote di un cardinale ben più famoso che ricopriva la carica di ministro delle armi.



Per la scheda completa consultare il catalogo Lo zuavo e i bersaglieri, a cura di Marco Fabio Apolloni, Roma 2020.
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Filippo Severati (Roma 1819 – 1892)


Ritratto di Cardinal Giacomo Antonelli
Smalto su pietra, cm 31 x 22



Segretario di Stato nel 1870 era il cardinal Giacomo Antonelli. Fatto cardinale da Pio IX nel 1847, a soli 41 anni, lo vediamo in questo bustino di marmo, opera di Giuseppe De Fabbris, un seguace di Canova. Giuseppe De Fabbris muore nel 1860, che è la data di questa placca dipinta, dove Giacomo Antonelli appare nella sua maestà, ministro onnipotente di Pio IX. Ed è un’opera d’arte molto singolare, perché è uno smalto su porcellana, opera di Filippo Severati, un tempo noto come il “Raffaello del Verano”, perché aveva inventato un procedimento per fare su pietra i ritratti a colori dei defunti...



Per la scheda completa consultare il catalogo Lo zuavo e i bersaglieri, a cura di Marco Fabio Apolloni, Roma 2020.
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Napoleone Nani


La fidanzata del Bersagliere, ca. 1887
Firmato in basso a sinistra, olio su tela, cm 112 x 82,5




Per la scheda completa consultare il catalogo Lo zuavo e i bersaglieri, a cura di Marco Fabio Apolloni, Roma 2020.



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Michele Cammarano (Napoli 1835-1920)


I Bersaglieri a Porta Pia, 1870
Olio su tela, cm. 314 x 228
Firmato e datato in basso a sinistra



Michele Cammarano, testimone oculare dell'entrata degli italiani a Roma, fissa su questa enorme tela l'impressione vivida della battaglia per conquistare all'Italia la sua capitale. Confrontato con quello conosciutissimo per essere pubblicato su tutti i libri di storia dove l'artista raffigura i Bersaglieri a passo di carica, lungo più di quattro metri, conservato al Museo di Capodimonte, frutto di ripensamenti e meditazioni per celebrare la presa di Roma nel modo più eroico e storicamente più gratificante, quello esposto, realizzato un anno prima (1870), rappresenta la Presa di Porta Pia in modo più veritiero, nella maniera confusa e rabbiosa con cui veramente avvenivano i fatti d’armi. I Bersaglieri si arrampicano concitati sul terrapieno formato dai detriti delle mura bombardate, confusi nel fumo dell’artiglieria. Le fisionomie sono stravolte, le bocche urlanti, le uniformi strapazzate e infarinate dai calcinacci. Un trombettiere giace a terra morto, un baffuto maggiore ci guarda direttamente negli occhi e con lo sguardo, col gesto, con la voce – vediamo che urla anche se non lo sentiamo – sembra spronarci a partecipare all’attacco...



Per la scheda completa consultare il catalogo Lo zuavo e i bersaglieri, a cura di Marco Fabio Apolloni, Roma 2020.
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Zeffirino Falcioni (1817-1880)


Athanase de Charette, Tenente colonnello comandante degli Zuavi pontifici, 1832-1911
Pastelli su carta, cm. 44 x 29



Queste sono solo due tavole originali dei disegni preparatori per un’opera che si chiamava I nuovi crociati. Era una raccolta di caricature del fronte papalino, opera di uno strano personaggio che si chiamava Zefferino Falcioni, un prete spretato, che divenne massone e materialista e che nel '70 stava nella Parigi della Comune. È un’opera che è uscita a riproduzioni fotografiche nel 1871. Uno riproduce Charrette, capo degli zuavi pontifici, e quello che è effigiato come una mongolfiera, “monsignor Pallone”, è monsignor Pacca, nipote di un cardinale ben più famoso che ricopriva la carica di ministro delle armi.



Per la scheda completa consultare il catalogo Lo zuavo e i bersaglieri, a cura di Marco Fabio Apolloni, Roma 2020.
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Publio Morbiducci (Roma 1889 - 1963)


Bozzetto preparatorio per il Bersagliere di Porta Pia, 1931 – 1932
Gesso, cm 30 x 26 x 21


Bibliografia:
Publio Morbiducci. Nudi maschili, a cura di Monica Cardarelli, catalogo della mostra, Roma, Galleria del Laocoonte, 2019


Si tratta del bozzetto preparatorio in gesso per il monumento al Bersagliere eretto davanti a Porta Pia nel 1932 e inaugurato l'otto settembre di quell'anno. Due anni prima, nel 1930, Publio Morbiducci aveva partecipato e vinto il concorso indetto dall'Associazione Nazionale Bersaglieri per erigere un monumento al bersagliere. L'idea era nata diversi anni prima, nel 1923, ma solo dopo la firma dei Patti Lateranensi, nel 1929, si potè concretizzare. Il Bersagliere di Morbiducci ebbe la meglio su quelli degli altri suoi competitori perché meglio interpretava lo spirito stesso e il "carattere popolare del Bersagliere", secondo Mussolini. Esso si erge al di sopra di un basamento ideato dall'architetto Italo Mancini...



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Victor Edmond Leharivel Durocher


Scultura funebre del Capitano Augustin Latimier Du Clésieux, 1875
Firmato e datato 1875, marmo, cm 97 x 181,7 x 73,1




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Miquel Fluixench (Tarragona 1822 – Barcellona 1894)


Ritratto dello zuavo pontificio Lluis de Müller, ca. 1860
Olio su tela, cm 214 x 146
Firmato in basso a sinistra



Bibliografia:
Glòria Escala, "Miquel Fluyxench i Trill (1822-1894), un pintor romàntic", "Revista de Catalunya", num. 211, novembre de 2005, pp. 73-99


Nel 1866 Fluyxench partecipò a una mostra organizzata dall'Accademia di Belle Arti di Barcellona, con un importante dipinto, intitolato Ritratto di un Zuavo pontificio. L'opera rappresenta, quasi a dimensione naturale (212 x 117 cm.) Lluís de Müller. Sullo sfondo la piazza ela Basilica di San Pietro con due figure (un uomo di spalle e un frate francescano di fronte), che simboleggiano rispettivamente il passato e il futuro di Lluís de Müller.


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Carel Max Quaedvlieg (Valkenburg 1823 – Roma 1874)


Breccia di Porta Pia, 1870
Olio su tavola, cm. 14 x 20
Firmato e datato in basso a destra



Si tratta di un'opera dell'olandese Carel Max Quaedvlieg che entro il suo perimetro di tredici per venti centimetri, riesce a inquadrare le Mura Aureliane e la breccia formicolante di Bersaglieri, con la morte del comandante Giacomo Pagliari sull’avanscena, e gli zuavi che sparano sullo sfondo di questa visione teatrale della Breccia, estremo opposto dei vasti “panorami” che andavano di moda in questo periodo. Vissuto a Roma per ventun anni, Quaedvlieg è noto per i suoi paesaggi della campagna romana animati da contadini e da butteri, eseguiti con lenticolare precisione, generalmente su rame, con colori luminosissimi. Questo di Porta Pia è un “unicum”, un documento storico figurativo di inestimabile valore, che fu infatti acquistato all’asta da Fabrizio Apolloni alla fine degli anni ottanta al termine di un accanito duello con un misterioso “underbidder” al telefono che si rivelò poi essere il compiato Bettino Craxi, molto attento alle memorie garibaldine e risorgimentali.



Per la scheda completa consultare il catalogo Lo zuavo e i bersaglieri, a cura di Marco Fabio Apolloni, Roma 2020.
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Giuseppe de Fabris (Nove 1790 – Roma 1860)


Busto di Cardinal Giacomo Antonelli, 1847
Marmo di Carrara, h. cm. 37,5



Segretario di Stato nel 1870 era il cardinal Giacomo Antonelli. Fatto cardinale da Pio IX nel 1847, a soli 41 anni, lo vediamo in questo bustino di marmo, opera di Giuseppe De Fabbris, un seguace di Canova. Giuseppe De Fabbris muore nel 1860, che è la data di questa placca dipinta, dove Giacomo Antonelli appare nella sua maestà, ministro onnipotente di Pio IX. Ed è un’opera d’arte molto singolare, perché è uno smalto su porcellana, opera di Filippo Severati, un tempo noto come il “Raffaello del Verano”, perché aveva inventato un procedimento per fare su pietra i ritratti a colori dei defunti...



Per la scheda completa consultare il catalogo Lo zuavo e i bersaglieri, a cura di Marco Fabio Apolloni, Roma 2020.
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Achille Funi (Ferrari 1890 – Appiano Gentile 1972)


Soldati romani, 1931 ca.
Tecnica mista su carta applicata su cartone, cm 125,5 x 81
Firmato “A. Funi” in basso al centro
(Archiviato nell’Archivio Achille Funi, Milano)


Due cartoni raffiguranti soldati romani, verosimilmente miliziani di Diocleziano, sono opere preparatorie per gli affreschi realizzati da Achille Funi nella Chiesa di San Giorgio in Palazzo a Milano tra il 1931 e il 1933.
I soldati armati assumono tramite la serrata definizione lineare una struttura scultorea vigorosa, espressiva della sapienza del maestro ferrarese nello studio delle anatomie. L’intonazione della composizione manifesta la propensione dell’autore all’ispirazione laica e pagana, a lui congeniale anche in contesti di genere sacro.
Le vigorose figure maschili, protagoniste dei cartoni, offrono notevole esempio dell’idea di sintesi tra tradizione e modernità, concetto-guida nel clima di unità delle arti assunto in tal senso dai grandi muralisti italiani del secolo scorso, sensibili al Mito più che alla Storia, agli ideali metastorici di una umanità epica e visionaria.



Per la scheda completa consultare il catalogo '900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
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Achille Funi (Ferrari 1890 – Appiano Gentile 1972)


Soldati romani, 1931 ca.
Tecnica mista su carta applicata su cartone, cm 125,5 x 81
Firmato “A. Funi” in basso al centro
(Archiviato nell’Archivio Achille Funi, Milano)


Due cartoni raffiguranti soldati romani, verosimilmente miliziani di Diocleziano, sono opere preparatorie per gli affreschi realizzati da Achille Funi nella Chiesa di San Giorgio in Palazzo a Milano tra il 1931 e il 1933.
I soldati armati assumono tramite la serrata definizione lineare una struttura scultorea vigorosa, espressiva della sapienza del maestro ferrarese nello studio delle anatomie. L’intonazione della composizione manifesta la propensione dell’autore all’ispirazione laica e pagana, a lui congeniale anche in contesti di genere sacro.
Le vigorose figure maschili, protagoniste dei cartoni, offrono notevole esempio dell’idea di sintesi tra tradizione e modernità, concetto-guida nel clima di unità delle arti assunto in tal senso dai grandi muralisti italiani del secolo scorso, sensibili al Mito più che alla Storia, agli ideali metastorici di una umanità epica e visionaria.



Per la scheda completa consultare il catalogo '900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
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Giorgio Quaroni (1907 - 1960)


Fondazione di Roma, 1939
Disegno preparatorio per láffresco Fondazione di Roma nella Sala Riunioni del Palazzo degli Uffici a Roma
China acquerellata su carta, cm 57 x 97


Pubblicazioni:
Esposizione Universale Roma. Una città nuova. dal Fascismo agli anni '60, a cura di Vittoria Guidotto, Roma, De Luca Editori, 2015, p. 77


Bibliografia:
E42 - Eur segno e sogno del '900, a cura di Carlo Fabrizio Carli, Gianni Mercurio, Luigi Prisco, Roma 2005


Si tratta di una china acquerellata attinente all'affresco per la Sala Riunioni del Palazzo degli Uffici dell'EUR, dipinto nel 1939 da Giorgio Quaroni, fratello dell'architetto Ludovico e dell'ambasciatore Pietro. Rappresentativo così come la totalità delle opere scultoree, a mosaico e architettoniche, della continuità tra la Roma antica e la Roma di Mussolini, l'acquerello di Quaroni è in controparte rispetto all'affresco, che, se ne ripete la scena e i personaggi che vi sono alla base, ne cambia tuttavia il soggetto protagonista. In alto e al centro della composizione della china v'è un cavaliere in groppa ad unn cavallor rampante, mentre nell'affresco in luogo di quest'ultimo, v'è la dea Roma, in piedi sopra una nuvola, con la lancia e lo scudo. Non dobbiamo dimenticare che Giorgio Quaroni fu anche il vincitore del concorso per il manifesto di propaganda dell'E42, dove rappresenta proprio la dea Roma...



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Vittorio Grassi (Roma 1878 – 1958)


Roma / Febbraio-Novembre 1911. Feste Commemorative della proclamazione del Regno dÍtalia, 1910
Bozzetto per manifesto
Olio su tela, cm 200 x 96


Bibliografia:
P. Moreno, Visibile nascosto: i Dioscuri del Quirinale copie da Fidia e Prassitele I, in Numismatica e Antichità Classiche, 42, 2013, pp. 147-198.


Vittorio Grassi partecipò nel 1911 al Concorso per il manifesto dell’Esposizione romana, indetto dal
Comitato Esecutivo dei festeggiamenti con il progetto del manifesto «Roma/Febbraio-Novembre 1911 Feste Commemorative Della Proclamazione Del Regno D’Italia» che rappresenta una delle prime prove di grafica pubblicitaria dell’artista. Vittorio Grassi opta per un soggetto esplicitamente
«romano»: il gruppo dei Dioscuri collocato a Roma nella Piazza del Quirinale.
Avendo ottenuto il 2° premio, la sola porzione dei Dioscuri verrà pubblicata in quadricromia nella copertina della rivista «Roma. Rassegna illustrata dell’esposizione del 1911 ufficiale per gli atti del Comitato esecutivo» (luglio MCMX n. 2). I Dioscuri sono «inquadrati» quasi ad additare un percorso da intraprendere, indicato da una stella a cinque punte, più luminosa delle altre nella notte romana.
Il senso scenografico del manifesto è risolto nel taglio fotografico, nel punto di vista ribassato e,
non ultimo, nella coinvolgente scelta cromatica del notturno: i toni verde-bluastri sono investiti dalla luce lunare che rende I Dioscuri protagonisti di un’apparizione inquietante. La scrittura è relegata alla base dell’opera, un’appendice diversa rispetto al messaggio che l’artista voleva trasmettere (così come avverrà nel successivo manifesto «Concerto degli Alleati all’Augusteo a beneficio della Croce Rossa- 1918»). Sul bruno camoscio del fondo basamentale, nettamente «separato» dai protagonisti del manifesto, il giallo cromo delle lettere capitali «illumina» e contribuisce a «rialzare» il punto di vista del riguardante.



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Patrick Alò (Roma 1975)


Ercole, 2016
Materiale ferroso di recupero, cm 100 x 46 x 40



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Patrick Alò (Roma 1975)


Giuditta con la testa di Oloferne, 2018
Materiale ferroso di recupero, cm 98 x 40 x 37



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Patrick Alò (Roma 1975)


Centauro, 2020
Materiale ferroso di recupero, cm 61 x 53 x 20



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Patrick Alò (Roma 1975)


Chimera, 2019
Materiale ferroso di recupero, cm 140 x 100 x 90



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Publio Morbiducci (Roma 1889 – Roma 1963)


Panoplie
Matita su carta, cm 60 x 90


I quattro disegni con panoplie afferiscono al ciclo decorativo progettato da Publio Morbiducci intorno al 1937 per il Palazzo del Governo di Forlì (Palazzo Paolucci). Il ciclo consisteva in alcuni pannelli decorativi rappresentanti la Dea Roma, la Lupa capitolina, alcune mappe dello sviluppo della civiltà romana (quelle della Roma repubblicana e della Roma imperiale sono attualmente in collezione privata, Roma) e la scultura Giunone in marmo di Carrara, situata nel ninfeo del “pomerio” che conclude il giardino all’italiana sul retro del palazzo.
La ristrutturazione e trasformazione del vecchio palazzo barocco venne affidata all’architetto Cesare Bazzani, con cui Morbiducci era in rapporti dal 1928.
Nel 1931 Morbiducci aveva realizzato per l’architetto anche una Via Crucis in terracotta per la chiesa di S. Antonio nella vicina Predappio Nuova.
Morto Bazzani nel 1939, gli successe, nel completamento degli apparati decorativi e degli arredi,
l’architetto Italo Mancini, con il quale Morbiducci aveva già realizzato il noto Monumento al
Bersagliere (1932).
Da alcune fotografie presso gli eredi Mancini, risulta la messa in opera provvisoria di alcuni pannelli in un ambiente molto grande dotato di cinque aperture, probabilmente funzionale al collaudo.
Il nuovo architetto progettò assieme a Morbiducci di inserire sui lati corti, ai lati delle porte, quattro
pannelli decorativi, con trofei disposti ciascuno in corrispondenza della grandi mappe, che raffiguravano: Roma ai suoi inizi, L’Impero di Roma alla morte di Augusto, L’Impero di Roma al tempo di Traiano e L’Impero Fascista.
L’intero ciclo doveva essere probabilmente realizzato su pannelli mobili di ardesia dipinta a
tempera e non ad affresco.


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Publio Morbiducci (Roma 1889 – Roma 1963)


Panoplie
Matita su carta, cm 60 x 90


I quattro disegni con panoplie afferiscono al ciclo decorativo progettato da Publio Morbiducci intorno al 1937 per il Palazzo del Governo di Forlì (Palazzo Paolucci). Il ciclo consisteva in alcuni pannelli decorativi rappresentanti la Dea Roma, la Lupa capitolina, alcune mappe dello sviluppo della civiltà romana (quelle della Roma repubblicana e della Roma imperiale sono attualmente in collezione privata, Roma) e la scultura Giunone in marmo di Carrara, situata nel ninfeo del “pomerio” che conclude il giardino all’italiana sul retro del palazzo.
La ristrutturazione e trasformazione del vecchio palazzo barocco venne affidata all’architetto Cesare Bazzani, con cui Morbiducci era in rapporti dal 1928.
Nel 1931 Morbiducci aveva realizzato per l’architetto anche una Via Crucis in terracotta per la chiesa di S. Antonio nella vicina Predappio Nuova.
Morto Bazzani nel 1939, gli successe, nel completamento degli apparati decorativi e degli arredi,
l’architetto Italo Mancini, con il quale Morbiducci aveva già realizzato il noto Monumento al
Bersagliere (1932).
Da alcune fotografie presso gli eredi Mancini, risulta la messa in opera provvisoria di alcuni pannelli in un ambiente molto grande dotato di cinque aperture, probabilmente funzionale al collaudo.
Il nuovo architetto progettò assieme a Morbiducci di inserire sui lati corti, ai lati delle porte, quattro
pannelli decorativi, con trofei disposti ciascuno in corrispondenza della grandi mappe, che raffiguravano: Roma ai suoi inizi, L’Impero di Roma alla morte di Augusto, L’Impero di Roma al tempo di Traiano e L’Impero Fascista.
L’intero ciclo doveva essere probabilmente realizzato su pannelli mobili di ardesia dipinta a
tempera e non ad affresco.


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Publio Morbiducci (Roma 1889 – Roma 1963)


Panoplie
Matita su carta, cm 60 x 90


I quattro disegni con panoplie afferiscono al ciclo decorativo progettato da Publio Morbiducci intorno al 1937 per il Palazzo del Governo di Forlì (Palazzo Paolucci). Il ciclo consisteva in alcuni pannelli decorativi rappresentanti la Dea Roma, la Lupa capitolina, alcune mappe dello sviluppo della civiltà romana (quelle della Roma repubblicana e della Roma imperiale sono attualmente in collezione privata, Roma) e la scultura Giunone in marmo di Carrara, situata nel ninfeo del “pomerio” che conclude il giardino all’italiana sul retro del palazzo.
La ristrutturazione e trasformazione del vecchio palazzo barocco venne affidata all’architetto Cesare Bazzani, con cui Morbiducci era in rapporti dal 1928.
Nel 1931 Morbiducci aveva realizzato per l’architetto anche una Via Crucis in terracotta per la chiesa di S. Antonio nella vicina Predappio Nuova.
Morto Bazzani nel 1939, gli successe, nel completamento degli apparati decorativi e degli arredi,
l’architetto Italo Mancini, con il quale Morbiducci aveva già realizzato il noto Monumento al
Bersagliere (1932).
Da alcune fotografie presso gli eredi Mancini, risulta la messa in opera provvisoria di alcuni pannelli in un ambiente molto grande dotato di cinque aperture, probabilmente funzionale al collaudo.
Il nuovo architetto progettò assieme a Morbiducci di inserire sui lati corti, ai lati delle porte, quattro
pannelli decorativi, con trofei disposti ciascuno in corrispondenza della grandi mappe, che raffiguravano: Roma ai suoi inizi, L’Impero di Roma alla morte di Augusto, L’Impero di Roma al tempo di Traiano e L’Impero Fascista.
L’intero ciclo doveva essere probabilmente realizzato su pannelli mobili di ardesia dipinta a
tempera e non ad affresco.


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Publio Morbiducci (Roma 1889 – Roma 1963)


Panoplie
Matita su carta, cm 60 x 90


I quattro disegni con panoplie afferiscono al ciclo decorativo progettato da Publio Morbiducci intorno al 1937 per il Palazzo del Governo di Forlì (Palazzo Paolucci). Il ciclo consisteva in alcuni pannelli decorativi rappresentanti la Dea Roma, la Lupa capitolina, alcune mappe dello sviluppo della civiltà romana (quelle della Roma repubblicana e della Roma imperiale sono attualmente in collezione privata, Roma) e la scultura Giunone in marmo di Carrara, situata nel ninfeo del “pomerio” che conclude il giardino all’italiana sul retro del palazzo.
La ristrutturazione e trasformazione del vecchio palazzo barocco venne affidata all’architetto Cesare Bazzani, con cui Morbiducci era in rapporti dal 1928.
Nel 1931 Morbiducci aveva realizzato per l’architetto anche una Via Crucis in terracotta per la chiesa di S. Antonio nella vicina Predappio Nuova.
Morto Bazzani nel 1939, gli successe, nel completamento degli apparati decorativi e degli arredi,
l’architetto Italo Mancini, con il quale Morbiducci aveva già realizzato il noto Monumento al
Bersagliere (1932).
Da alcune fotografie presso gli eredi Mancini, risulta la messa in opera provvisoria di alcuni pannelli in un ambiente molto grande dotato di cinque aperture, probabilmente funzionale al collaudo.
Il nuovo architetto progettò assieme a Morbiducci di inserire sui lati corti, ai lati delle porte, quattro
pannelli decorativi, con trofei disposti ciascuno in corrispondenza della grandi mappe, che raffiguravano: Roma ai suoi inizi, L’Impero di Roma alla morte di Augusto, L’Impero di Roma al tempo di Traiano e L’Impero Fascista.
L’intero ciclo doveva essere probabilmente realizzato su pannelli mobili di ardesia dipinta a
tempera e non ad affresco.


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Gino Severini (Cortona 1883 – Parigi 1966)


Bozzetto per il mosaico de La Caccia nella Palestra del Duce al Foro Italico, 1937
Matita e tempera su due cartoncini uniti, cm 65 x 152 (a vista: cm 63,5 x 148)


Esposizioni:
Roma, Galleria Arco Farnese, Gino Severini. Affreschi, mosaici, decorazioni monumentali, 1921-1941, a cura di F. Benzi, 12 maggio-30 giugno 1992, pp. 77, 81, n. 70 (ripr.)


Bibliografia:
V. Sgarbi, I mosaici della dimenticanza, in AD/Roma, n. 2 giugno 1985; A. Greco, S. Santuccio, Foro Italico. Atlante storico delle città italiane, Multigrafica, Roma 1991, p. 41, nn. 67, 69 (ripr.); A. Greco, Severini e Moretti: quando il Duce mostrava i muscoli, in “Art e Dossier”, Firenze 1996, a. XI, n. 108, pp. 14-15 (ripr.); Severini al Foro Italico, a cura di M.E. Tittoni, F. Pirani, S. Tozzi, Roma, Foro Italico, Palestra dell’ISEF, 20 luglio- 16 settembre 1998, p. 35 (senza misure) (ripr.); Catalogo d’Asta, Finarte Arte Moderna e Contemporanea, Roma 19 novembre 2009, n. 326 (ripr.).


Questo bozzetto di grandi dimensioni fa riferimento alla grande parete musiva compiuta su disegno di Severini nella Palestra del Duce al Foro italico realizzata nel 1937 dall’architetto Luigi Moretti. L’ambiente concepito dall’architetto forse più originale della sua generazione, è un’aula classica dalle proporzioni allungate completamente rivestita di marmo, nella quale trovano applicazione tutti gli studi sui “canocchiali ottici”, sull’influenza della luce e sulla qualità dei materiali. I mosaici di Severini con figure in nero sul bianco, distribuiti in diversi punti a terra e a parete, contrappuntano questo spazio rarefatto senza intaccare l’unità concepita dall’architetto. All’ingresso figura una sorta di “tappeto” musivo con la figura simbolica dell’Italia fascista accostata ad un Icaro caduto e sormontata dal Leone ruggente, segno zodiacale di Mussolini; è un introibo discreto, allusivo alle virtù rinascimentali del novello Principe, alla superba epifania dello spazio morettiano poi cadenzato solo da tre elementi plastici, la scala che avvitandosi risucchia lo spazio verso l‘alto, e le splendide sculture dorate di Silvio Canevari. Sul fondo a sinistra, una natura morta cubista a terra, dietro un setto marmoreo, introduce alla parete allungata del vano dello spogliatoio dove figura la composizione allungata allusiva al riposo degli Atleti e al tema della Caccia; la figura dell’arciere sulla destra s’intravede fin dall’ingresso dietro il bronzo di Canevari. La composizione di Severini si caratterizza per il ritmo paratattico con il quale le figure appaiono e si profilano sulla parete. Come già nel pavimento del Leone, nessun legame narrativo le unisce. Ai due nudi virili sulla sinistra, intenti a giocare con gli uccelli fa da contrappunto sulla destra la figura isolata del cacciatore che, arco a terra, esibisce la preda circondato da piccioni e galli. In alto si snoda una teoria di uccelli in volo e, fuori simmetria, una delle sue caratteristiche nature morte. Una traccia a matita, dietro gli Atleti a sinistra, fa pensare che l’autore avesse posizionato un albero fronzuto sullo sfondo, poi rimosso.



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Gino Severini (Cortona 1883 – Parigi 1966)


Bozzetto del Fascismo tra i simboli delle arti e dell'impero per il Viale del Monolite al Foro Italico, 1937
Tempera e china su cartoncino, cm 48 x 123 (con vari appunti a matita sul lato destro del foglio)


Esposizioni:
Roma, Galleria Arco Farnese, Gino Severini. Affreschi, mosaici, decorazioni monumentali, 1921-1941, a cura di F. Benzi, 12 maggio-30 giugno 1992, pp. 77, 81, n. 70 (ripr.)


Bibliografia:
A. Greco, S. Santuccio, Foro Italico. Atlante storico delle città italiane, Multigrafica, Roma 1991, p. 43, n. 72 (ripr.); Catalogo d’Asta, Finarte Arte Moderna e Contemporanea, Roma 19 novembre 2009, n. 332 (ripr.).


Il disegno, prima che un bozzetto per valutare la migliore soluzione iconografica compositiva da adottare, è un interessante documento di lavoro sul metodo impiegato da Severini per affrontare le imprese decorative pubbliche che gli vennero commissionate dal regime negli ultimi anni Trenta. Reca infatti sulla destra importanti annotazioni sullo sviluppo del bozzetto nella sua traduzione al vero e tiene conto dello stretto rapporto che l’artista stabilì, nell’uso di questa tecnica antica, fra l’ideazione e la sua traduzione in atto. Del resto, già a partire dagli anni Venti, nell’ambito della realizzazione per le chiese della Svizzera romanda, Severini aveva sviluppato una forte passione per le tecniche artigiane legate alla grande decorazione, l’affresco e il mosaico; a quest’ultimo si dedicò poi tutta la vita, praticandolo esso stesso in piccoli formati da cavalletto, aprendo scuole per i mosaicisti e approfondendone in sede teorica le possibilità del loro impiego nell’arte contemporanea. Mentre l’artista per un verso doveva aver apprezzato la scelta dell’architetto Moretti di sviluppare in un grande litostrato d’ispirazione classico-romana la prospettiva del Viale dell’Impero, non poteva non rammaricarsi del fatto che l’incarico fosse certamente di calibro inferiore alle sue aspettative, soprattutto tendendo conto che due anni prima l’assegnazione del Gran Premio della Pittura alla Quadriennale d’Arte, gli era stata presentata come primo segnale di una rinnovata attenzione del regime nei suoi riguardi, cui dovevano seguire concretamente commissioni importanti nei tanti cantieri promossi dal fascismo; il che di fatto avvenne in misura molto limitata. Il bozzetto che qui si presenta è una variante di quello già analizzato nella scheda precedente, praticamente senza differenze, il che ci rinvia all’estrema accuratezza con la quale l’artista affrontava ogni impegno progettuale anche quando, come in questo, la collocazione e la “coabitazione” con i pannelli di Giulio Rosso, rischiavano di far rifluire il suo lavoro in un indistinto anonimato.



Per la scheda completa consultare il catalogo '900 Classico, a cura di Marco Fabio Apolloni e Monica Cardarelli, De Luca Editori d’Arte, Roma 2020.
### Tooltip IconButton_3D7B3FBA_746B_AE8D_41B1_167535B940E1.toolTip = Percorso IconButton_51EAFA7C_65FA_7609_41C2_5C336DB6E2D3.toolTip = Fullscreen IconButton_571043E9_6416_760B_41D0_7CBBC1725CF2.toolTip = options ## Media ### Title map_177FF291_08D0_25D5_4193_96D1229613F6.label = Galleria W. Apolloni map_177FFE00_08DF_DCB3_419F_5861A8F37570.label = Galleria del Laocoonte map_2892690C_08DF_E4B3_41A1_BFF64DE48272.label = Galleria del Laocoonte e W. 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